UNHCR ha abbandonato per anni un gruppo di donne in una cella lurida a Triq al Sikka, con i loro bambini e neonati, escludendole sistematicamente dalle evacuazioni. Due giorni fa si sono ribellate.
Sto raccontando da un pezzo la storia delle donne di Triq al Sikka, perché le conosco bene. Una di loro è Kissa, la mia “sorellina” ventenne.
Assieme ad altre coetanee eritree fu deportata il 2 luglio 2018 da una nave battente bandiera italiana. Una deportazione segreta per cui sto, da mesi, chiedendo conto al Governo italiano.
Poi le chiusero nell’inferno di Triq al Sikka, lager libico governativo di Triq al Sikka, finanziato dal 2017 dall’Italia allo scopo di “migliorarlo”.
Donne, etiopi ed eritree, molto giovani. Avranno avuto la priorità nell’evacuazione dalla Libia, penserete. Invece no. UNHCR le ha sempre sistematicamente escluse dall’evacuazione. Perché? Cosa avevano che non andava?
Me lo sono sempre chiesto: perché Kissa non è mai nella lista di chi se ne va? Sarà per la nazionalità? No, gli etiopi vengono evacuati. Ci sarà una priorità a seconda della data di arrivo? No, nel gruppo deportato assieme a lei sono stati evacuati anche uomini maggiorenni, li conosco, sono in Europa. Sarà perché è bella e piace alle guardie?
Sì, Kissa è bella e a Triq al Sikka, come ho raccontato, le guardie trattengono le ragazze giovani e belle. E UNHCR? Non può opporsi a questa barbarie? Non la può, almeno, denunciare?
Anche le sue amiche sono giovani e belle. Ho una loro foto sul cellulare, da tanti mesi: ragazzine abbracciate, tenerissime, sorridenti. E’ una foto che, vi confesso, mi fa piangere ogni volta che la guardo. Perché il mio Paese ha rubato loro ogni cosa: la libertà, la giovinezza, quel sorriso.
Qualche giorno fa Kissa e le sue amiche hanno (non) festeggiato i 16 mesi di reclusione a Triq al Sikka.
Poi, il giorno dopo, si sono ribellate. Assieme ad altre donne – in tutto erano 45, con 16 bimbi a seguito – sono andate a parlare con il capo della polizia di Triq al Sikka, Nasser, tirando fuori un coraggio da leoni. “Vogliamo essere evacuate. Vogliamo andare al GDF dell’UNHCR. Vogliamo parlare con UNHCR”.
Nasser ha risposto che la colpa della mancata evacuazione è solo di UNHCR e le ha portate non al GDF (Ghatering and Departure Facility, l’edificio di UNHCR dove si transita prima dell’evacuazione), che si trova proprio di fronte a Triq al Sikka, ma all’ufficio UNHCR di Burji. Lì UNHCR ha detto che non poteva far nulla per loro, come dice sempre ai rifugiati. “Se non volete tornare a Triq al Sikka” hanno spiegato “possiamo cambiare il vostro codice da interno ad esterno”.

“Codice esterno” vuol dire che il rifugiato vive per strada in Libia, che rinuncia all’ “assistenza” (qui, davvero, ci vogliono le virgolette!) offerta dai campi di concentramento libici e alla lista di evacuazione di UNHCR. Insomma: chi ha il codice esterno non è più un problema di UNHCR e tanti saluti.
Kissa e le sue compagne hanno deciso di NON tornare a Triq al Sikka, lager terribile, dove le persone vengono torturate e stuprate.
Voi, che avreste fatto al loro posto?
Così, queste donne che erano invisibili a Triq al Sikka, ora sono invisibili nelle strade di Tripoli e rischiano di venire catturate dai trafficanti. La notte scorsa, come racconta questo video postato Giulia Tranchina, sono state già attaccate da uomini con i fucili che hanno cercato di rapirle.
UNHCR dice che non può fare nulla per le donne e i bambini di Triq al Sikka
UNHCR non può fare nulla per chi scappa dai lager perché è stato torturato.
UNHCR non può fare nulla per Sid che è minorenne ed è malato.
UNHCR non può fare nulla per i sudsudanesi, non può fare nulla per la coppia con la bimba di un mese, non può fare nulla per i sopravvissuti di Tajoura eccetera eccetera eccetera.
Mi chiedo: perché continuiamo a pagare miliardi per tenere in piedi l’Agenzia ONU per i Rifugiati se non può fare nulla per i rifugiati?
E’ vero che UNHCR evacua le donne e, soprattutto, i bambini?
Perché a Triq al Sikka c’erano donne e bambini reclusi da ANNI?
Quest’anno, ogni volta che Kissa mi mandava un audio, sentivo in sottofondo le voci e i colpi di tosse di decine di bambini piccoli. Ce n’era un’hangar piena!
Non dovrebbero evacuare i bambini?
UNHCR ha una comunicazione basata sui BAMBINI. Foto di bambini sono dappertutto sul loro sito, specialmente accanto al link per le donazioni.

Quando (raro, ma accade) UNHCR organizza voli di evacuazione dalla Libia vediamo sempre bambini evacuati.
E’ il caso del volo del 12 settembre 2019 per Roma. Su tutti i giornali è apparsa questa foto:

E’ il piccolo Yousef, bimbo somalo di 7 mesi, nato in un lager. Tutti ne parlano.
Anche sul sito di UNHCR c’è la sua foto.

UNHCR scrive ” Il più piccolo è Yousef, un bimbo somalo di sette mesi nato in un centro di detenzione e in viaggio insieme ai genitori”.
Belle le foto dei bambini tratti in salvo.
Ma sapete quanti bambini sotto i 10 anni c’erano su quel volo?
UNO. Yousef.
Per fortuna dovevano fare la foto, così hanno evacuato almeno il piccolo Yousef.
Su altri voli UNHCR accade lo stesso: foto con bambino in primo piano…

Questo è il volo per il Rwanda: 66 evacuati, bambini solo 4.
Cosa possiamo fare per salvare le donne e i bambini di Triq al Sikka?
Possiamo far ragionare UNHCR.
Lo staff libico ha seri problemi ed è stato più volte accusato di ignobili casi di corruzione, ma la sede centrale e la sede italiana sono disponibili al dialogo. Fate come me: scrivete, taggateli sui social, telefonate ai loro centralini. Chiedete che queste donne e i loro figli vengano finalmente evacuate dalla Libia.
E’ l’unica – davvero l’unica – cosa che possiamo fare per aiutarle.
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