Il 16 aprile 2019, il Viminale – ministro Matteo Salvini, capo gabinetto Matteo Piantedosi – emanò una nuova direttiva interamente dedicata alla nave Mare Jonio, salpata due giorni prima. Una “direttiva ad navem”. Era l’ordine esplicito a comandanti delle forze di polizia, della Guardia costiera e della Marina «di vigilare affinché il comandante e la proprietà della Mare Jonio si attengano alle vigenti normative nazionali ed internazionali in materia di coordinamento delle attività di soccorso in mare e di idoneità tecnica dei mezzi impiegati». Inoltre, veniva intimato il controllo affinché dalla Mare Jonio «rispettino le prerogative di coordinamento delle autorità straniere legittimamente titolate ai sensi della vigente normativa internazionale al coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nelle proprie acque di responsabilità dichiarate e non contestate dai paesi costieri limitrofi e non reiterino condotte in contrasto con la vigente normativa». In sintesi, scrisse Mediterranea “il Viminale ha stabilito che se una nave italiana – più esplicitamente la Mare Jonio – dovesse operare un soccorso coordinato dall’autorità Sar competente in acque non italiane non potrà cercare approdo nei porti dell’Italia”.
Il giorno prima, 15 aprile 2019, il presidente del governo di Accordo Nazionale libico Al Serraj aveva avvisato l’Europa che “800mila migranti sono pronti a partire e tra le persone in fuga dalla guerra civile libica si nascondono anche militanti dell’Isis”. La destra italiana usò a suo vantaggio queste allarmistiche dichiarazioni.
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