Quello dei lager libici è un sistema razzista basato sul lavoro di schiavi stranieri e fiancheggiato da molti paesi europei, primo tra tutti il nostro.
Questo è il testo di una lezione che ho tenuto presso un liceo italiano nella Giornata della Memoria – 27 gennaio 2023.
“Arrivarono a casa nostra di mattina. Io la chiamo casa nostra, ma in effetti non era nostra e non era solo nostra. Erano tre stanze in un palazzo fatiscente, senza bagno e senza riscaldamento, che io e i miei tre bambini dividevamo con altre due famiglie.
Li sentimmo salire su per le scale. Era tardi per fuggire e non ci provammo nemmeno. La mia figlia più piccola aveva nove mesi e la tenevo in braccio. Dissi agli altri due, che potevano capire, di obbedire ai soldati ma di rimanermi sempre vicini.
Ci fecero uscire sul pianerottolo. La mia compagna di casa tremava e teneva stretti i suoi figli, due bambini smunti e riservati. La terza donna che viveva con noi tentò di opporsi urlando ma un soldato la colpì sul fianco con il calcio del fucile, rischiando di ferire anche il neonato che teneva stretto al seno. Così uscì anche lei e da fuori vedemmo due militari frugare nelle nostre povere cose, buttare all’aria tutto, rovesciare il letto alla ricerca di chissà quale tesoro.
Ci fecero scendere e inginocchiare sul marciapiede. C’erano centinaia di persone attorno a noi. Poi ci caricarono su un furgone e ci deportarono nei campi”.
Chi ha studiato riconoscerà subito questa storia: lo sgombero del ghetto di Cracovia nel 1943.
Invece no, questa testimonianza è molto più recente: i fatti sono avvenuti ad ottobre 2021. E’ il raid di arresto di massa nel quartiere di Gargaresh, a Tripoli. Un altro ghetto.
La parola lager
Lager, campi di concentramento. Si possono usare queste parole per la Libia?
Nella primavera 2019 sono stata attaccata in rete per l’utilizzo della parola lager. C’era chi su Twitter mi accusava di offendere la memoria dell’Olocausto. Del resto, le notizie che arrivavano dalla Libia erano pochissime. UNHCR e IOM pubblicavano bollettini sulle presenza nei campi omettendo le morti. A leggerli, si aveva l’idea che nessuno fosse mai morto lì dentro. Iniziai a contare i morti, soprattutto nei lager finanziati dall’Italia (Tarek al Mattar, Triq al Sikka, Tajoura). Scoprii che si moriva di fame e malattia, agonizzando sul pavimento senza alcuna assistenza medica. Poi, in seguito, scoprii che si moriva anche in altro modo: giustiziati dalle guardie per aver rifiutato i lavori forzati.
Come definire questi posti? Centri di detenzione, prigioni? No. In prigione si entra lasciando le proprie cose, che verranno ritirate all’uscita. I libici invece ne fanno razzia. In prigione si ha diritto ad un avvocato, in Libia no. Si hanno comunque dei diritti in prigione, anche nelle prigioni (quelle vere) libiche. Ma non nei campi per migranti.
A febbraio 2022 Papa Francesco ha parlato di lager libici in una storica intervista a Fazio, evento televisivo visto da milioni di persone e nessuno, da allora, mi ha più criticata.
Il termine Lager in tedesco significa sia “campo” sia “magazzino”.
Lager, campo di concentramento, magazzino di concentramento, è la definizione giusta. Le persone indesiderate vengono rinchiuse e concentrate in grandi capannoni.
Come nasce un sistema di arresti e detenzioni di massa basato sulla razza?
Dall’odio, occhei. Ma c’è un passaggio fondamentale: la legge.
Le leggi razziali del secolo scorso le conoscete. Ma anche in Libia c’è una legge del genere, solo che nessuno ne parla, il perché lo spiegheremo dopo.
E’ la legge 19/2010. Articolo 6:
L’immigrazione clandestina è punita con la pena della detenzione con lavori forzati.
Detenzione a tempo indeterminato.
Preciso che per la legge libica è reo di immigrazione clandestina anche chi esce dalla Libia, non solo chi vi entra. Chi, quindi, viene catturato in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica mentre sta fuggendo su un gommone, è considerato un criminale e viene arrestato legalmente.
Qual è invece la pena per gli scafisti libici? Meno di un anno di prigione.
Fino a tre anni fa si parlava del sistema dei lager libici come di un sistema di detenzione illegale e parallelo in mano a soggetti “altri”: rapitori, Asma Boys, gang criminali. Nei telegiornali e sui giornali (tutti i giornali!) si faceva sempre la distinzione tra campi clandestini e “centri di detenzione ufficiali” o “governativi”, come se ci fosse una differenza. Nel 2017 Marco Minniti emanò un bando con cui le ONG italiane avrebbero partecipato al lavoro nei centri di detenzione governativi”. Per migliorarli. 200 ONG italiane rifiutarono di partecipare, schifate. Solo 6 ONG parteciparono e di conseguenza vinsero questo bando incassando milioni di finanziamenti pubblici tra il 2017 e oggi.
I centri di detenzione governativi erano i lager di Tarek al Mattar, Triq al Sikka e Tajoura. Poi si aggiunsero altri. Anche Ain Zara. Veri e propri lager.
L’Italia, finanziandoli, non si poteva permettere di raccontarli.
La verità è che quello dei lager libici è un sistema razzista basato sul lavoro di schiavi stranieri e fiancheggiato da molti paesi europei, primo tra tutti il nostro.
Vi ricorda niente?
ANALOGIE tra lager libici e lager nazisti
PUNTO PRIMO: le vittime sono “gli altri”.
Vieni deportato, imprigionato, torturato e ucciso perché sei nato “altro”. Ebreo, rom, eritreo, sudanese, nigeriano, nuer, luo…
Come nel secolo scorso, il diritto alla vita cessa di essere un diritto di tutti i vivi e diventa diritto solo di alcune categorie.
PUNTO SECONDO: lo sfruttamento economico delle vittime.
I nazisti ieri, come i libici oggi, GUADAGNANO SOLDI dalla sofferenza e dalla morte delle loro vittime.
I libici lo fanno in 5 modi:
- 1) lavori forzati. I migranti rinchiusi nei lager vengono costretti a lavorare dalle guardie, all’interno e all’esterno dei lager. A Tripoli, ad esempio, per costruire una casa c’è chi ricorre alla manodopera dei lager. Le paghe vanno alle guardie.
- 2) La vendita di esseri umani. I direttori dei lager vendono persone (lavoratori) ai normali cittadini libici. Chi ha bisogno, ad esempio, di una donna delle pulizie, non la assume, va in un lager e ne compra una. 1500 dollari è il prezzo. Questa donna verrà rinchiusa e fatta lavorare come schiava in una casa. Ho raccolto moltissime testimonianze di donne comprate come domestiche nel lager di Tarek al Mattar (finanziato dall’Italia): hanno dovuto anche subire dai loro compratori costanti violenze sessuali.
- 3) furto dei beni. All’arrivo nei lager, le guardie rubano ai rifugiati tutti gli oggetti di valore.
- 4) Estorsioni e ricatti ai parenti dei prigionieri.
- 5) finanziamenti europei al sistema dei lager. La Libia incassa milioni e milioni di euro direttamente dai governi europei per bloccare i migranti.
Come ricorderete, lavori forzati e furto dei beni arricchivano anche i nazisti.
Lo schiavismo in Libia |
L’intero sistema economico del Governo di Tripoli è basato attualmente sul lavoro degli schiavi stranieri. |
Gli uomini vengono utilizzati come schiavi operai edili per la costruzione di opere pubbliche e private e come schiavi soldato. |
Le donne sono vendute come domestiche/prostitute |
Tutti questi schiavi lavorano senza stipendio e sono privati della libertà. Molte sono persone catturate in mare dalla Cosiddetta Guardia Costiera Libica finanziata dall’Italia. Dopo la cattura vengono deportati nei campi di concentramento dell’area di Tripoli (anche in quelli finanziati dall’Italia) e lì venduti all’esterno come schiavi. Il prezzo che le guardie dei lager finanziati dall’Italia chiedono ai cittadini libici per una donna da utilizzare come schiava domestica/prostituta è 1500 dollari. |
Alcuni rifugiati vengono catturati in mare e poi processati nel Tribunale ordinario di Tripoli. Da lì, vengono destinati ai lavori forzati. |
Avete letto bene: processati nel Tribunale ordinario di Tripoli e da lì destinati ai lavori forzati. |
C’è la legge. |
PUNTO TERZO: il CIBO. Previsto per tenere in vita le persone “solo provvisoriamente”.
Nei lager nazisti l’alimentazione dei prigionieri era prevista per tenerli in vita “solo provvisoriamente”, quel tanto che bastava per farli lavorare fino all’arrivo di forze più fresche.
Il cibo era quasi totalmente privo di proteine. I tedeschi avevano calcolato che un prigioniero, con le sue risorse di adipe di prima della deportazione più la scarsa alimentazione del campo, poteva sopravvivere due o tre mesi. Non di più. Ed era quello che gli bastava.
Questa è una ricostruzione del cibo giornaliero somministrato ad Auschwitz:
Al mattino un liquido che non era né tè né caffè ma un infuso di erba senza neanche lo zucchero.
A mezzogiorno una zuppa liquida fatta con verdure rancide e immondizia. I prigionieri la chiamavano “zuppa a sorpresa” perché spesso vi si trovava dentro di tutto, compresi chiodi, bulloni, terra.
Alla sera un pezzo di pane e un cucchiaino di margarina o marmellata.
Basta.
Anche nei lager libici il cibo è assolutamente privo di proteine!
Si mangia una volta al giorno e sempre la stessa cosa: pastina lessa. Unico condimento: sale.
Qui trovate tutte le foto del cibo fornito in vari lager libici ufficiali dell’area di Tripoli e qui addirittura un video di come viene somministrato.
Segnalo anche che a volte il cibo non viene dato proprio. A Zintan sono stati anche 6 giorni senza mangiare.
PUNTO QUARTO: il collaborazionismo di altri Paesi
I lager nazisti erano un sistema costruito da un solo paese (la Germania) per sterminare determinate categorie di persone (ebrei, rom, omosessuali). Era un sistema facilitato e fiancheggiato da altri Paesi. I nazisti da soli non sarebbero riusciti a deportare e uccidere tutte quelle persone. L’Italia, anche allora, partecipò attivamente organizzando le deportazioni.
I lager libici tripolitani sono oggi un sistema realizzato da un Paese (la Tripolitania) ma commissionato e fiancheggiato da un continente (l’Europa) al fine di bloccare (con ogni mezzo, anche la morte) persone provenienti da un altro continente (l’Africa). L’agenzia europea Frontex fornisce aerei e droni spia per individuare e catturare i fuggitivi. L’Italia partecipa attivamente fornendo motovedette e soldi alla cosiddetta Guardia Costiera Libica per catturare i fuggitivi e ha organizzato (in segreto, perché illegali) almeno 4 deportazioni con sue navi da acque internazionali nei lager libici. I casi (Hirsi, Orione, Asso Ventotto, Asso Ventinove) sono finiti in tribunale.
PUNTO QUINTO:. violenza, morte terrore e altri orribili particolari.
Il terrore, nei lager libici, passa attraverso vari stadi, fisici e psicologici, che comprendono torture indicibili. Non ci sono camere a gas, ma in ogni lager libico c’è una sala delle torture chiamata “underground”. E’ l’anticamera della morte. La cella delle torture di Tajoura ha addirittura una sedia elettrica: è una sedia con elettrodi e legacci per bloccare i torturati. Uno dei miei amici è stato torturato così.
La cella delle torture è un elemento architettonico dei lager libici.
Altro punto in comune è la fucilazione dei fuggitivi. Quando qualcuno scappa da un lager libico, le guardie lo rincorrono sparando. Molti rifugiati sono morti così.
La morte e la tortura non sono celate, anzi, le guardie non ne fanno mistero. Ho contato diverse esecuzioni a Tajoura: c’è chi è stato fucilato per aver rifiutato i lavori forzati e chi per aver rifiutato di andare a combattere in guerra. Ho i loro nomi.
Ci sono, poi, dettagli davvero precisi e orribili.
L’utilizzo di KAPO’.
Nei lager libici ci sono rifugiati che lavorano per le guardie. Veri e propri kapò. Hanno privilegi e sono infidi. Ma qualche volta sono anche capaci di ribellarsi e di aiutare i loro compagni.
Il CANADA
Nei lager libici (per esempio a Tajoura) è architettonicamente previsto un grande magazzino. In questo spazio le guardie stipano tutti i beni rubati ai rifugiati. Tutto è in vendita. E’ impossibile, per me, non pensare al “Canada” di Auschwitz.
Il numero
Nei lager libici spariscono i nomi. La gente viene numerata. Sei il tuo codice. 149-18C03595 (Seid). Il tuo indirizzo all’inferno, deciso da UNHCR.
Di analogie, ce ne sono moltissime. Ma vediamo anche le…
DIFFERENZE tra i lager libici e i lager nazisti
I libici (fortunatamente) non sono l’esercito nazista, sono piuttosto un’accozzaglia di milizie multicefale. Ogni milizia pensa prima a sé. E questo li condanna ad un’irrisolvibile disorganizzazione che crea falle nel sistema di sterminio da loro ordito.
Così, ad esempio, in alcuni lager le guardie libiche si sono messe a vendere telefoni cellularii ai rifugiat e il Mondo ha saputo.
E’ anche vero che il Mondo ha avuto un’evoluzione dal secolo scorso. Un’evoluzione tecnologica, ma anche morale.
La RESISTENZA all’interno dei lager libici è forte.
Nei lager libici i rifugiati comunicano tra loro, si organizzano, lottano assieme. Hanno dei leader, persone coraggiose che pensano prima ai più deboli, donano agli altri il loro cibo.
Nei lager libici si lotta e si spera, nonostante il buio.
Il presidio dei 100 giorni a Tripoli.
Questo i libici non sono riusciti a spezzarlo. Questo, nell’orrore, è ciò che ci fa andare avanti.
Ho scritto CI, non è un refuso.
Siamo qui, OGGI, nella Giornata della Memoria, a lottare per difendere l’umanità, ovvero noi stessi.
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