La Valmarecchia è stata la prima tappa di un tour che mi porterà in giro per l’Italia a raccontare una parte bellissima del nostro Paese: l’accoglienza.
Nel 2020, in Italia, c’è chi si ribella all’odio, al razzismo e alla pochezza culturale sovranista. Questa rivolta popolare è un moto fortissimo. La possiamo definire, in tutte le accezioni del termine, una rivolta DISARMANTE. All’ignoranza vengono opposte montagne di libri e storie (… il #cannoneAstorie non spara mai a salve!), al razzismo viene opposta l’accoglienza.
Questo mio “Cacate Rivolta Tour” (come lo definirebbero gli anarcoinsurrezionalisti ottantenni di Solidarancia) mira a raccontare l’Italia che resiste e si ribella alla barbarie, ogni giorno.
Come sono finita in Valmarecchia.
Tutto è iniziato con un ragazzo. Era il 13 settembre 2019.
Dopo 2 mesi di annunci e ritrattazioni, UNHCR effettua un volo di evacuazione dalla Libia con 98 rifugiati provenienti dai lager. Alcuni degli evacuati hanno in tasca il mio numero di telefono, scritto a penna su un bigliettino.
Uno dei ragazzi è Khalil, del Darfur. Come fanno altri, mi chiama appena atterrato a Roma. Li stanno dividendo su diversi pulmini, diretti a centri di prima accoglienza. Dove? Non si sa. Un lungo viaggio su strada e poi arriva.
“Dove sei?”
“Non lo so”
Per fortuna ha il cellulare e mi manda la posizione whatsapp.
Secchiano, comune di Novafeltria.
“Lo conosci?”
“No”. Devo allargare la mappa per capire esattamente dove si trova. Ah, vicino san Leo, sulle colline nel territorio di Rimini. Mai stata lì.
Con il JLProject seguiamo i rifugiati anche quando riescono ad uscire dalla Libia. Così manteniamo rapporti con Khalil. Un giorno ci chiama con un problema: nel centro di accoglienza di Secchiano mancano i soldi per gli abbonamenti dell’autobus che deve portarli a Rimini per seguire il corso di lingua italiana. Un problema serio. Ma risolvibile.
I ragazzi stranieri sono stati aiutati dai ragazzi italiani dell’ANPI Valmarecchia, che hanno dato loro le prime lezioni di italiano e si sono subito attivati per indire una raccolta fondi che consenta di pagare gli abbonamenti. Noi del JLProject ci mettiamo subito in contatto con loro e offriamo aiuto per pubblicizzare la raccolta.
Così mi arriva l’invito: “Perché non vieni anche tu alla cena di sottoscrizione? Porta anche Solidarancia!”
La situazione in Valmarecchia è tesa, sono in piena campagna elettorale per le elezioni in Emilia Romagna. Parlare di libri e di lager libici crea scompiglio nella giunta comunale. Ma riusciamo lo stesso ad organizzare la cena e il dibattito. E’ il 7 febbraio 2019.

In Valmarecchia i rifugiati stessi hanno raccontato la Libia
Questo è stato il più grande successo della serata del 7 febbraio.

Khalil si è sentito, per la prima volta nella sua vita, libero di poter raccontare, libero di poter apparire su un palco a volto scoperto. Lo ha fatto, con l’aiuto dell’interprete Fatima.
A settembre, appena arrivato in Italia, Khalil era ancora spaventato. A Tajoura chi parla viene torturato o ucciso. Qui da noi, no. Ci ha messo alcuni mesi a capirlo, ma adesso Khalil è libero.
Khalil ha trascorso anni terribili sul pavimento di Tajoura, lager libico finanziato dall’Italia, deposito di armi da guerra dove i migranti vengono usati come scudi umani. Era lì durante il bombardamento del 2 luglio 2019 ed è sopravvissuto per miracolo.
I suoi amici, i miei amici, sono ancora in Libia. Esclusi dall’evacuazione, tutti, anche le donne e i bambini.
I nostri amici ancora in Libia ci hanno mandato una lettera. Khalil l’ha letta agli abitanti della Valmarecchia.
Voglio condividerla con voi. La traduzione è di Amr Adem.
L’ha scritta un ragazzo che conosco molto bene. E’ stato 3 anni a Tajoura. Secondo le direttive UNHCR avrebbe dovuto già essere evacuato da tempo, ma ha ricevuto il “fine Libia MAI”. E’ una delle persone più coraggiose che conosco, non si è mai arreso, ha sempre parlato, ha sempre aiutato gli altri. Subendo, per questo, atroci conseguenze.
Lettera di un rifugiato del Darfur rimasto in un centro di detenzione per 3 anni.
Lo so che nessuno crede alle mie parole. Possono farlo soltanto le persone che hanno messo tutto il loro tempo per difendere i nostri diritti come rifugiati e migranti. Noi, come rifugiati, siamo disperati per la situazione nelle carceri libiche. Scrivo questa lettera per ringraziare tutti gli attivisti per i diritti umani, perché sono gli unici che hanno capito e creduto nella verità, assente dal mondo, riguardo alle nostre condizioni qui in Libia, i nostri dolori quotidiani in questi Centri di detenzione. Ringraziamo loro per tutta la vita.
Tutti sanno che l’Unione Europea sostiene la guardia costiera libica, ma non si sa molto di che cosa stia accadendo qui, tra l’uccisione, la tortura e lo stupro di donne e bambini. E non solo questo: la tortura sulla sedia elettrica nella prigione di Tajura, la prigione in cui ho trascorso un anno e mezzo, e molte altre prigioni come la prigione di Tarik al-Sika e la prigione di Gharyan.
Noi rifugiati siamo stati sfollati dal nostro paese dai nostri regimi repressivi e dittatoriali, questi regimi hanno disintegrato le nostre famiglie, che ora sono finite nei campi per sfollati e rifugiati nel Darfur e nei paesi vicini. Non abbiamo nessun posto dove vivere in sicurezza. L’unica speranza è quella di scegliere il modo più difficile per salvare la nostra vita e andare in un paese sicuro in cui vivere. È nostro diritto vivere su questo pianeta. Abbiamo scelto l’Europa, non per il lusso, il turismo, il denaro o l’amore per questo continente. Piuttosto per sopravvivere alle guerre e alla tortura degli stati repressivi. Ciò opprime tutti con le armi, poiché queste armi uccidono innocenti e tutti coloro che sognano di vivere dignitosamente nel loro villaggi. Il mondo può risolvere i problemi in questi paesi, non respingere i rifugiati, perché noi siamo le vittime. E non impedendo ai rifugiati la libertà di movimento.
Tutto il mondo ha parlato dell’attentato di Tajura il 2 luglio 2019 e tutti riconoscono il crimine contro l’umanità di bombardare un centro per rifugiati. Eppure i sopravvissuti al bombardamento di Tajura sono dovuti fuggire da soli, sono andati da soli al Centro di raccolta e di partenza dell’UNHCR (GDF). Fino ad ora nessun provvedimento è stato preso per le richieste di asilo presentate nel centro di Tajoura da tempo. Ora l’UNHCR vuole espellere tutti, ricacciandoli nelle strade di Tripoli senza documenti, e il mondo sa cosa sta succedendo a Tripoli. Guerra.
Tutto ciò che vogliamo è un trasferimento in un paese sicuro, non per forza in Europa.
A conclusione della mia lettera, voglio ringraziare Sarita, l’amica di tutti i rifugiati e immigrati, e dire che tutte le parole di ringraziamento non realizzeranno tutto ciò che fai. Speriamo che altri impareranno molto da te, come noi abbiamo imparato a resistere a queste orribili prigioni.
Grazie mille
Maystro
Il ruolo dell’Italia nell’orrore libico
Abbiamo scelto di raccontarlo attraverso l’eversivo account twitter dei vecchietti di Solidarancia.
La cena è servita!
Lo Chef Luca Micheli e i suoi studenti dell’istituto alberghiero “Tonino Guerra” di Novafeltria ci hanno fatto vivere (e mangiare) un vero e proprio viaggio intorno al Mediterraneo, con decine di piatti provenienti dai 3 continenti che vi affacciano. Il tutto accompagnato da ottimo vino.
I 10 rifugiati di Secchiano non hanno ancora imparato l’italiano perché… il corso è a Rimini e non hanno i soldi per il bus (8 euro al giorno). Ma con la cena abbiamo finanziato i prossimi 2 mesi e mezzo di abbonamento al bus.
Alcuni di voi, sui social, mi hanno chiesto come contribuire alla raccolta fondi. L’ho chiesto all’ANPI Valmarecchia e si sta organizzando per aprire anche una raccolta fondi online. Entro pochi giorni vi farò sapere come fare.
L’ospitalità degli abitanti della Valmarecchia
A Secchiano l’ospitalità è calorosa e spontanea e… anche io e la mia famiglia siamo stati ospitati.

In questa splendida casa in pietra in mezzo al verde, che è anche un B&B ecosostenibile (Sasso Erminia) gestito da due volontarie dell’ANPI, Patrizia e Giulia.
Qui, durante questo bel weekend, abbiamo anche festeggiato il compleanno di uno dei rifugiati.
Ghana, Senegal, Niger, Darfur, Nigeria… “Io vengo da Roma” ha spiegato la mia bimba di 6 anni “ma sono anche un po’ di Napoli”. Una bella festa in cui si parlavano tutte le lingue del mondo e avevi sempre accanto qualcuno che ti aiutava se non capivi qualcosa.
Questa è stata la prima tappa del “Cacate Rivolta Tour” 2020 di Solidarancia. Un viaggio denso tra luoghi e persone che accolgono e raccontano.
Chi vive tra 4 mura mentali, un viaggio così non potrà mai farlo. E capirlo.
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