Sabato scorso, sul palco di DisarmArte 2019, ho parlato di… suocere. E’ stato un intervento assieme buffo e agghiacciante ma, nella sua semplicità, è arrivato dritto al punto: dobbiamo diventare suocere, tutti.

Le suocere

Le suocere sono personaggi fondamentali nelle vignette e nelle barzellette. Lì hanno sempre un ruolo drammatico ben preciso: rompono le scatole.

Nella vita reale, forse, non è sempre così, ma le suocere posseggono comunque doti eccezionali: ascoltano tutto, vedono tutto e – soprattutto – prevedono. “Te l’avevo detto” è la frase preferita di questi Nostradamus in gonnella ed è sempre una stilettata perché – ammettiamolo – hanno sempre ragione.

Altra caratteristica peculiare delle suocere è che… non stanno zitte. Mai. Perseguono le loro idee fino allo stremo, senza mai arrendersi. Sono capaci di mobilitare eserciti di autorità che vanno dal fornaio al capo della polizia. Raccontano e coinvolgono.

E, infine, hanno molto tempo libero. Moltissimo.

Abbiamo mai pensato di coinvolgere le suocere nel contrasto agli omicidi familiari compiuti con armi regolarmente detenute?

(No, non sono diventata matta!)

L’idea mi è venuta di recente. Ho scritto un articolo su un caso di violenza familiare  in cui è stato possibile prevenire un epilogo terribile e mi hanno contattato, ansiose di saperne di più, indovinate chi? Non le donne vittime di violenza familiare bensì… le loro madri. Le suocere!

Donne fantastiche, madri e nonne capaci di riconoscere segnali di pericolo, capaci di lottare contro tutto e tutti per proteggere le loro figlie e i loro nipoti.

Volete sapere come ci riescono?

Facile. Fanno ciò che dovremmo fare tutti, ovvero ascoltare le storie degli altri e capire che possono accadere anche a noi.

Queste suocere, così, hanno visto cosa accadeva nella loro famiglia, hanno pre-visto e hanno agito.

Le storie degli altri.

In realtà è come se fossero sempre la stessa storia. Ma pochi se ne accorgono. Forse solo le suocere.

Sono due anni che Giorgio Beretta tiene memoria degli omicidi compiuti con armi legalmente detenute. Sono moltissime. Nel solo 2018 in Italia ci sono state 78 vittime, di cui 63 relative a casi di omicidio-suicidio.

Le pistole nelle case degli italiani sparano, ma non contro i ladri. Sparano su donne e bambini, su mogli e figli.

Il fatto è che queste pistole non sparano all’improvviso…

Maggio 2013 – Montebelluna – Denise non ne può più del suo ex. Lui continua a tormentarla, ad aspettarla sotto casa e al lavoro, a mandarle strani messaggi, tanto che i familiari di lei hanno preso l’abitudine di accompagnarla sempre ovunque, per proteggerla. Esasperata da quell’uomo, Denise racconta tutto ai carabinieri, che lo convocano e gli fanno una “ramanzina”. Lui, così, decide di guidare per 60 chilometri, fino a Jesolo, e di chiedere lì il permesso di detenzione per arma da fuoco. Lo ottiene, spara a Denise e poi si uccide.

Dicembre 2014 – Numana (AN)Paula, di origini rumene, si è separata dal marito e si è allontanata da casa assieme al loro bambino di 5 anni, Christian. L’ex marito, un italiano con diversi problemi di rabbia repressa e depressione, detiene regolarmente alcune pistole. Non accetta la separazione , come ancora si vede benissimo nel suo profilo Facebook, e sprofonda in un baratro di odio etnico, apologia di fascismo e paranoia. Minaccia Paula, le racconta di fatto il pieno di proiettili in armeria e le annuncia che li avrebbe usati contro di lei. Dichiara anche di volersi suicidare. Una settimana dopo uccide Paula e il piccolo Christian  con una Beretta 9×21. Subito dopo si suicida.

Marzo 2017 – Orte – Silvia, 30 anni, ha lasciato il suo fidanzato, che non si da pace. Lui chiede il permesso di detenzione per arma sportiva e un mercoledì lo ottiene. Il giorno successivo, giovedì, si reca in un’armeria e compra – legalmente – una Glock. L’indomani, il venerdì, va a trovare Silvia e le spara, uccidendola. Infine si suicida con l’arma.

Maggio 2019 – San Miniato – anche Elisa ha lasciato il suo fidanzato. Lui, un giovane calciatore, non accetta la fine della relazione. Per ben 2 anni, la aspetta tutti i giorni sotto casa, come racconta una vicina:

Ad un certo punto, lui chiede il permesso per detenzione di armi per uso sportivo. Lo ottiene il 18 maggio 2019. Qualche giorno dopo compra una pistola calibro 9×21. Il 25 maggio esce di casa portando con sé la pistola. Va da Elisa e la uccide. Poi si toglie la vita con la stessa arma.

Mi fermo qui. Di storie come queste – identiche a queste – ce ne sono decine e decine.

Sono talmente tutte uguali, che non si trovano solo tra le pagine di cronaca nera dei giornali. Sono anche nei libri di psicologia criminale. Da molti anni.

L’omicidio-suicidio in ambito familiare, a raccontarlo, ha sempre lo stesso iter e sempre un’arma preferita: l’arma da fuoco.

Perché l’arma da fuoco?

I motivi sono sostanzialmente due:

  1. La distanza. L’arma da fuoco conferisce maggiore distanza – fisica e psicologica – tra l’assassino e la vittima.
  2. L’efficacia. Il soggetto criminale ha bisogno di un’arma che non lasci sopravvissuti. Da un coltello si può scappare, da una pistola è molto più difficile. Inoltre questi sono “suicidi allargati”, l’uomo uccide se stesso assieme a tutto il suo mondo (moglie e figli). Ha bisogno di un’arma che gli assicuri di poterla fare finita. Non è facile suicidarsi con un coltello, con una pistola lo è.

Negli USA, nel 2015, c’è stato un seminario in cui sono stati studiati 408 casi di omicidio-suicidio. Si intitolava “Men who murder their families: what the researce tell us”. Tra questi 408 casi, l’88% erano avvenuti con arma da fuoco. In Italia non è molto diverso. Un’indagine (Traverso e Ruocco, 2003) ha studiato 581 casi di omicidio-suicidio avvenuti in Italia dal 1985 al 1999 (quindi PRIMA che le armi da fuoco aumentassero a dismisura nelle case italiane – oggi sono molti di più). L’arma da fuoco era stata utilizzata dal pater familias nel 58,2% dei casi.

Affermare che tutti questi omicidi non sarebbero avvenuti in mancanza di una pistola, è sbagliato. Ma non possiamo ignorare che l’omicida ha compiuto tutta la trafila per ottenere il permesso di detenzione per un’arma da fuoco ed è andata a comprarla apposta. Una pianificazione accurata.

Togliere la pistola dalle mani di chi sta pianificando un omicidio-suicidio servirà ad impedire l’atto?

Nell’immediato sì. Togliere un elemento così importante nella pianificazione di un atto criminale, spiazzerà il soggetto.

Inoltre, l’averlo disarmato aumenterà la sicurezza di chi gli è vicino. Come ho scritto: da un coltello ci si può salvare, da una pistola è molto più difficile.

Per il resto, la strada sarà lunga e ardua. Il soggetto, se non verrà fermato, se non verrà curato, si riorganizzerà.

Le suocere possono vedere questa pianificazione.

Le mogli a volte non vedono. Ma è comprensibile. Come si fa solo ad immaginare che l’uomo che hai amato stia pianificando di uccidere te e i suoi figli?

Le suocere (ma anche i suoceri) invece possono accorgersi di alcuni segnali, fattori di rischio che sono sempre gli stessi. Ovvero:

  1. Insorgere di comportamenti violenti, fuori ma soprattutto dentro casa. Tutte queste storie hanno alle spalle episodi precedenti di violenza familiare e/o stalking.
  2. Cambiamenti radicali e significativi nell’ambiente socio-economico del soggetto. Può essere la perdita del lavoro oppure una separazione.
  3. Facile accesso ad armi da fuoco.

Questi sono fattori di rischio presenti in tutti i manuali di psichiatria criminale, ma mi sono stati confermati anche dalle pochissime vittime sopravvissute (per esempio la protagonista del mio racconto TU) e dai diversi parenti e amici di donne che oggi non ci sono più.

Dalle mie testimonianze, emerge spesso anche un altro campanello d’allarme:

  • 4. Gioco d’azzardo compulsivo (il soggetto inizia a spendere tutto il suo denaro in scommesse, slot, gratta e vinci)

Se non sei uno psichiatra o il parente di una vittima, queste cose non le sai.

La mia prossima missione sarà informare le suocere, fornire loro gli strumenti per poter prevedere meglio. E anche per AGIRE.

Cosa possono fare le suocere per proteggere le loro figlie e i loro nipoti?

In presenza dei fattori di rischio che ho elencato sopra, possono fare una cosa importantissima: chiedere alle autorità il ritiro cautelativo delle armi.

Il ritiro cautelativo delle armi da fuoco. Cos’è e quando avviene.

Lo lascio spiegare agli autori di uno dei tanti blog che inneggiano al possesso di armi (gli errori grammaticali sono loro):

 sistema ormai collaudato del ritiro di licenze e armi ogni qualvolta un indagine coinvolge un possessore di armi, dalla lite più banale, dalla denuncia del vicino per il latrato del cane a passare con il rosso in auto, tanto che ormai non serve più essere indagati ma basta essere solo sospettati di poter abusare delle armi regolarmente detenute per vedersele ritirare insieme ad ogni licenza.

Non è esattamente così, ma le suocere, in presenza di una denuncia, possono andare in Questura e chiedere al Questore un ritiro cautelativo delle armi da fuoco del genero.

Attenzione: non è automatico. Anche se un uomo è stato denunciato, le autorità potrebbero aver dimenticato di ritirare le armi da fuoco. Il ritiro cautelativo va chiesto espressamente.

Riscriviamo il finale della storia

Il genero è una brava persona, tranquillo, incensurato. Poi perde il lavoro, sta tutto il giorno sul divano, è depresso, spende i pochi euro rimasti in gratta e vinci, diventa spesso violento fisicamente e/o verbalmente. Lei, nonostante tutto, non lo denuncia e inizialmente gli rimane vicina. Ma le cose vanno così male che alla fine decide di lasciarlo. Lui chiede ed ottiene il permesso di detenzione per armi da fuoco. Compra una pistola. Sostiene che gli serve per difendere la sua famiglia da ladri e malintenzionati. Lui: il bravo pater familias.

La suocera arriva. Fornisce un essenziale appoggio morale ed economico alla figlia, e agli eventuali nipoti, per uscire di casa. Le fa aprire gli occhi: ci sono 90 giorni di tempo per denunciare quello schiaffo ricevuto. Sarà anche il padre dei suoi figli, ma sta diventando pericoloso.

La suocera di reca dal Questore. Dalla borsetta tira fuori una copia della denuncia per percosse o ingiurie.

“Mio genero ha una pistola che bisogna ritirare subito!” sentenzia quando lo sa.

“Se per caso mio genero ha una pistola, va ritirata subito!” avverte quando non lo sa.

Ascolta educatamente il sermone del Questore sulla famiglia: “A volte le cose si sistemano da sole, gettare benzina sul fuoco in una controversia può essere dannoso per tutti, la gente sbaglia e poi si fa perdonare, bisogna sempre tentare di redimere pacificamente i conflitti”.

La suocera lo lascia terminare (il tempo è sempre dalla parte delle suocere!). Le parole del Questore fanno uno strano giro per la stanza: si vanno ad infilare nell’orecchio destro della signora, e poi fuoriescono dal sinistro. Finalmente cessano.

Metto la mia richiesta per iscritto e chiedo di protocollarla” chiude allora, lapidaria, la suocera. E lo fa. E non c’è verso di dissuaderla perché le suocere sono così: hanno sempre ragione. Probabilmente anche questa volta.

Dobbiamo diventare, tutti, delle suocere.

Facciamoci suocere: osserviamo, ascoltiamo e agiamo. Anche a costo di diventare un po’ invadenti e rompiscatole.


Questo articolo lo dedico alla mia nuova amica Gabriella Neri, che assieme alla sua splendida famiglia e all’associazione che ha creato, Ognivolta onlus, con coraggio cerca di far capire a questo paese che tenere delle armi in casa è una pessima – davvero pessima – idea. E lo dedico anche a sua suocera, la dolcissima mamma di Luca, che ho conosciuto a DisarmArte. Luca non c’è più, è stato ucciso da un collega di lavoro che nonostante i gravi problemi psichici deteneva legalmente una pistola.

Abbiamo mai pensato di coinvolgere le suocere nel contrasto agli omicidi familiari compiuti con armi regolarmente detenute?

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