La pistola era regolarmente denunciata …

Quante volte l’abbiamo letto sui giornali alla fine della cronaca di terribili delitti? Soprattutto quelli  familiari, compiuti tra le mura domestiche, soprattutto quelli in cui c’è un uomo che uccide la sua donna e a volte anche i suoi figli.

Regolarmente denunciata” è un’espressione che dovrebbe diffondere sicurezza in chi la legge: “State tranquilli, la pistola era legale, tutto a posto…”.

Tutto a posto?




Forse non è tutto a posto; forse dovremmo approfondire quella squassante inquietudine che ci fa emergere la domanda “Chi ha dato a questo assassino, indubbiamente psicotico, la licenza per avere una pistola? E perché?”.

Secondo il Corriere della Sera in Italia solo nel 2016 ben 23 casi di femminicidio sono stati compiuti con armi da fuoco. Uno su cinque, il 20%. Una percentuale molto alta se si pensa che in Italia meno del 10% della popolazione detiene un’arma.

Un’arma regolarmente denunciata.



 

Regolarmente denunciata per uso sportivo era la calibro 38 che Vito Tronnolone portò a San Fele nell’agosto 2014 durante una vacanza in famiglia. Famiglia che sterminò prima di suicidarsi. Uccise la moglie Maria Stella Puntillo e i due figli Chiara e Luca.

Regolarmente denunciata era la pistola con la quale nel giugno del 2014 a Ponte Valleceppi (Perugia) Riccardo Bazzurri sparò alla testa alla compagna Ilaria Abbate, al figlioletto di 2 anni e ad un’amica della donna, Ilaria Toni. Riccardo aveva un regolare permesso di detenzione per armi sportive, possedeva una Beretta 9×21 e un fucile, per allenarsi al poligono.

Armi sportive

Secondo un sito che si chiama “In 48 ore”  bastano appunto 48 ore per avere sia il permesso di detenzione che quello di acquisto per un’arma da fuoco sportiva. Una procedura molto semplice.

Le carte da portare sono poche. Basta un certificato medico e l’iscrizione alle sezioni di Tiro a Segno Nazionale.  Non importa se poi non si va al poligono. Molti usano la scusa dello sport solo per poter comprare una pistola e tenerla in casa.

E’ anche il caso dell’omicida di Ponte Valleceppi?

Lo chiedo a Ilaria Toni, sopravvissuta di quella tragedia dopo una difficile operazione chirurgica. Lo chiedo a lei perché la sua amica, compagna dell’omicida, non c’è più, si è spenta dopo 38 terribili giorni di coma. Il suo bambino invece è ricoverato ancora oggi per una lesione cerebrale che sembra irreversibile.

Non credo andasse spesso al poligono” mi risponde Ilaria “Ma non so. Non avevo idea che lui possedesse delle armi, l’ho scoperto quel giorno, quando all’improvviso mi sono vista la canna della pistola puntata contro la faccia”.

Mi racconta che lui e Ilaria Abbate erano separati da 9 mesi e le cose non andavano bene. Una settimana prima della tragedia lui l’aveva aggredita, ma lei non lo aveva denunciato. Il venerdì  lui si era presentato presso un centro di igiene mentale chiedendo aiuto, ma i medici erano tutti occupati e allo sportello gli avevano dato appuntamento per il martedì successivo. Troppo tardi, perché la domenica aveva sparato.

Al centro di igiene mentale non gli hanno chiesto se si ritenesse pericoloso? Se aveva delle armi?

Non lo sapremo mai” è la risposta di Ilaria “Del resto non c’è mai stato un processo perché lui dopo averci sparato si è ucciso”.

Ringrazio Ilaria e mi pongo mille domande.

Davvero non è possibile evitare tragedie come questa? Non è possibile individuare segnali premonitori?

Soprattutto: davvero non è possibile capire quando sia meglio sospendere o revocare un porto d’armi?

Segnali premonitori

Regolarmente denunciata era anche la Beretta 9×21 con cui a Numana (AN) nel dicembre 2014 Daniele Antognoni uccise la moglie Paula Corduneanu e il figlioletto Christian, di soli 5 anni.

Anche qui non è stato fatto un processo, perché l’assassino si è suicidato. Ma il suo profilo Facebook (pubblico e ancora visibile) ci racconta la storia di un uomo dedito alle armi che postava in continuazioni foto di pistole e inquietanti e violenti messaggi d’odio.

L’’uomo aveva un regolare “Certificato di Idoneità al Maneggio delle Armi” ottenuto presso una sezione C.O.N.I. (non dimentichiamo che il Tiro a Segno è sport olimpico, e vanto nazionale italiano) e probabilmente c’erano gli estremi per chiederne la revoca alle autorità semplicemente portando le stampe dei contenuti che postava sul social network, uno tra tutti l’annuncio di vendita di una Glock.

In Italia la vendita di armi tra privati è assolutamente vietata e comporta l’immediata revoca del porto d’armi più altre conseguenze.

Il fatto però è che nessuno l’ha denunciato. A nessuno tra i suoi 406 amici di Facebook è venuto in mente che potesse essere pericoloso.

APPROFONDISCI
  • Cronaca di un omicidio annunciato su FacebookCronaca di un omicidio annunciato su Facebook

    Sparò alla moglie e al figlioletto di soli 5 anni. Su Facebook postava messaggi per cui avrebbero potuto revocargli il porto d'armi. Ma nessuno lo denunciò. Ecco come fermare chi incita all'uso delle armi sui social network.

Dopo l’omicidio la sorella di Paula ha raccontato ai giornali che la coppia aveva consultato uno psicologo. (fonte: il Fatto Quotidiano). Impossibile sapere se questo psicologo si fosse reso conto del pericolo rappresentato dall’uomo, e se sapesse che aveva un’arma.

 

Continuiamo, ma ci sono talmente tanti casi che non si può citarli tutti.

Ogni tanto, oltre alle armi sportive, appare anche qualche cacciatore.

Regolarmente denunciato era il fucile da caccia di Marcello Vizzacarro che per gelosia uccise in provincia di Caserta la moglie Adriana D’agostino nell’ottobre 2008. La donna aveva appena trovato un avvocato divorzista. L’uomo sta attualmente scontando una condanna a 12 anni.

Tipi di porto d’armi

I motivi per cui in Italia un civile può avere il permesso detenere un’arma sono tre:

  • Uso sportivo
  • Caccia
  • Difesa personale

Quello per uso sportivo è il più diffuso. Molti meno sono i permessi di caccia, forse perché agli italiani piacciono più le pistole che i fucili? Per ultimo viene il porto per difesa personale, un po’ più difficile da ottenere perché bisogna avere un motivo (per esempio un lavoro che prevede il trasporto di grossi quantitativi di gioielli o contanti).

Poi, ovviamente, ci sono i permessi per le armi d’ordinanza di chi lavora nelle forze dell’ordine.

Regolarmente denunciato era il fucile a pompa calibro 12 con il quale nel marzo 2015 a Città di Castello il poliziotto Yuri Nardi uccise la moglie Laura Arcaleni e poi si suicidò. Le indagini della Polizia appurarono che il movente era la gelosia. Niente processo.

Ma le pistole del femminicidio, lo ripetiamo, sono soprattutto quelle registrate per uso sportivo.

La lista prosegue.

Regolarmente denunciata era la pistola calibro 22 con la quale a marzo 2016 a Genova Ciro Vitiello sparò i quattro colpi che uccisero la moglie Rosa Landi. Non era l’unica arma in possesso dell’uomo, c’erano anche una calibro 9, una 7,65 e una 38. Tutte registrate come armi sportive, presso il poligono di Quezzi.

Rosa voleva lasciare il marito, lui l’ha minacciata di morte ma lei non lo ha mai denunciato. Poi l’omicidio.

Qui un processo, cosa rara, c’è stato e l’uomo è stato condannato con rito abbreviato a 18 anni di carcere.

La premeditazione passa per la richiesta di un porto d’armi

Regolarmente denunciata per uso sportivo era anche la calibro 9 con la quale nell’ottobre 2013 a San Giustino (PG) Christian Rigucci uccise l’ex fidanzata Alexandra Buffetti e poi si tolse la vita. Lei lo aveva lasciato e l’uomo la perseguitava da tempo. Ma non c’erano mai state denunce.

Alexandra non sapeva che lui fosse armato, lo scoprì pochi istanti prima dello sparo. Ricordiamo che un cittadino non ha il diritto di sapere se un altro cittadino è armato.

Due settimane prima dell’omicidio l’uomo chiese e ottenne il permesso per un’arma sportiva.

Ripeto perché non l’ho scritto bene.

Due settimane prima dell’omicidio lui chiese e ottenne il permesso per un’arma sportiva.

Ci vuole il grassetto.

E ci vuole una considerazione: quando si pianifica il proprio suicidio e l’omicidio della propria ex fidanzata perché scomodarsi a cercare la pistola al mercato nero se è più veloce (ricordiamolo, 48 ore!) acquistarla legalmente?

Perché lo Stato permette di tenere in casa un’arma sportiva se essa può sparare solo al poligono?

Per avere un’”arma sportiva”, che poi è una pistola a tutti gli effetti (le Beretta vanno per la maggiore) bisogna ottenere il  “Certificato di idoneità al maneggio della armi” rilasciato dal Tiro a Segno Nazionale e “l’autorizzazione all’acquisto di armi e munizioni” rilasciata dalla Prefettura. Una procedura molto semplice, abbiamo detto. A quel punto si va a comprare la pistola.

La legge prescrive che la pistola sportiva possa stare solo in 3 posti:

  • A casa del titolare del permesso – disarmata (ovvero senza proiettili)
  • Al poligono – dove si può armare e dove si può sparare
  • Nel tragitto casa-poligono (bisogna tenerla nel portabagagli o in una valigetta, mai addosso, e deve essere disarmata)

Per chiarirmi le idee telefono alla Sezione Porto D’Armi di un Commissariato romano e chiedo alcune cose:

“E’ possibile sparare in casa con un’arma sportiva, che so, sul muro del salotto?”
“E’ possibile approntare un poligono di tiro nella propria casa?”

Mi rispondono: ASSOLUTAMENTE NO!

Se una pistola sportiva può sparare solo al poligono, perché allora tenerla in casa?

“Perché è prevista anche l’eventualità di un uso per legittima difesa in casa” mi spiegano “chiaramente alle regole della legittima difesa”.

Ora, nella mia ignoranza di persona disarmata non capisco benissimo che difesa possa fornire in casa una pistola disarmata, priva di proiettili e tenuta sotto chiave. Ma vabbè.

Piuttosto mi chiedo, e ancora uso il grassetto:

in una società in cui gli omicidi avvengono tra le mura domestiche non sarebbe più sicuro tenere le armi sportive fuori dalle case?

Si potrebbero tenere al poligono. Dove chi è davvero dedito a questo sport potrebbe andare e divertirsi.

Regolarmente denunciata era la Beretta Iver per cui Matteo Rossi chiese il permesso di detenzione a Jesolo. Non lo chiese nel comune dove abitava, Montebelluna, che ha una sezione di Tiro a Segno Nazionale e un Commissariato, ma percorse 60 chilometri. Perché?

Perché poche settimane prima era stato convocato dai carabinieri. L’ex fidanzata, Denise Morello, aveva paura di lui. Lei l’aveva lasciato e lui continuava a tormentarla, ad aspettarla sotto casa e al lavoro, a mandarle strani messaggi, tanto che i familiari di lei avevano preso l’abitudine di accompagnarla sempre ovunque per proteggerla. Esasperata da quell’uomo Denise andò a raccontare tutto ai carabinieri, che lo convocarono e gli fecero una “ramanzina”.

Funzionò?

No. Non ci fu nulla di minimamente funzionante nel sistema che consentì all’uomo, dopo la segnalazione per stalking e la convocazione dei carabinieri, di comprare legalmente una pistola e di sparare alla sua ex ragazza alla nuca, uccidendola. Proprio nulla.

Perché gli fu concesso il permesso di detenzione?

Forse perché la segnalazione per stalking non passò mai da Montebelluno a Jesolo, non riuscì a fare quei 60 chilometri che l’assassino aveva percorso senza problemi per procurarsi la pistola. Ma se anche fosse passata forse gli avrebbero concesso ugualmente il permesso, grazie alla Discrezionalità Amministrativa.

In quali casi le autorità revocano il porto d’armi?

Ricordiamo che quello a possedere un’arma da fuoco non è un diritto ma una concessione che la Prefettura fa al cittadino. E’ un permesso che viene rilasciato a discrezione dal Prefetto, che per la decisione delega il Questore, che a sua volta delega il Commissariato.

Quali sono i parametri per stabilire a chi non può essere data e a chi debba venir revocata questa concessione?

Il Consiglio di Stato nella sentenza 2158/2015 ribadisce che l’autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza.

Niente di più vago.

E in caso di condanne penali la revoca è automatica?

Solo per chi abbia riportato una condanna a pena superiore a 3 anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione; a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Per tutti gli altri casi la revoca è a discrezione delle autorità.

Regolarmente denunciata come arma sportiva era anche la Beretta 98 con cui a Taranto nel giugno 2016  Luigi Alfarano uccise il figlioletto di 4 anni subito dopo la moglie Federica De Luca, che invece strangolò. La coppia si stava separando. Interessante è il perché.

Un anno prima l’omicida aveva patteggiato un anno e otto mesi di reclusione per violenza sessuale nei confronti di una collega di lavoro. Un reato contro la persona!

Perché non gli fu revocato il permesso per tenere armi?

La revoca era a discrezione delle autorità.

Il principio della discrezionalità può essere una buona cosa se viene usato con coscienza, magari anche con un pizzico di eccesso di zelo per tutelare le parti deboli.

Invece…

Nel maggio 2014 una donna denunciò quest’uomo per violenza sessuale e violenza privata aggravata. Lui aveva già il porto d’armi ma nessuno ritenne di doverlo sospendere.

Poi il rinvio a giudizio. Permesso di detenzione ancora attivo e pistola ancora presente nella casa dove l’uomo viveva con la moglie e il bimbo di due anni.

Prima udienza. Lui patteggiò 1 anno e 8 mesi di reclusione e il suo avvocato ottenne la non menzione nel casellario giudiziario. Nessuna revoca.

La pistola era ancora regolarmente denunciata quando l’uomo la usò per sparare alla testa di Andrea, il suo bimbo di 4 anni, e poi per suicidarsi.

… Regolarmente denunciata

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Questo articolo ha un commento

  1. sarita

    Commentate pure questo articolo.
    Se avete suggerimenti, idee, storie o qualsiasi cosa sappiate che sto continuando ad occuparmi di questo argomento e a scriverci, quindi mi saranno preziosi.

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