In Darfur i Janjawid danno fuoco, ancora, ad un villaggio, uccidendo il maestro. Perché IOM rimpatria le persone dalla Libia al Sudan?

2 marzo 2023, villaggio di Melissa, nord Darfur.

Siamo in un piccolo villaggio nella difficile zona del Darfur, difficile sia geograficamente che politicamente. E’ un’area notoriamente devastata da una guerra civile che pare irrisolvibile.

Il villaggio di Melissa si trova qui:

Darfur

In mezzo al nulla, direte voi, ma io lo conosco perché è il villaggio natale del mio amico Musa, un luogo che lui ama ma da cui è dovuto fuggire per sopravvivere.

Li chiamano “demoni a cavallo”, Janjawid (inglesizzato è Janjaweed). Sono miliziani filogovernativi che da vent’anni almeno attaccano villaggi, violentano donne, uccidono tutti e bruciano ciò che rimane.

E’ successo anche tre giorni fa. Il risultato è stato questo:

Darfur, Janjawid bruciano il villaggio di Melissa

Non solo. I Janjawid hanno ucciso il maestro del villaggio, il signor Muhammad Bahr al-Din, e non se ne sono ancora andati.

Il villaggio è stato bruciato e ci sono molte famiglie scomparse. In genere, i Janjawid rapiscono donne a scopo di violenza e bambini che utilizzano come schiavi-soldato.

Il mio amico Musa, che ora si trova in un altro inferno chiamato Libia, mi ha chiesto di raccontare questa storia e di farvi vedere le foto.

https://twitter.com/M_musa00/status/1631419677560778755?s=20

Ma io voglio fare di più. Voglio raccontare di più. Voglio denunciare chi non offre aiuto alle persone che fuggono dall’inferno del Darfur e, anzi, ce le rispedisce.

In sostanza, voglio denunciare l’IOM/OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

IOM rispedisce esseri umani nell’inferno del Darfur

Il mio amico Musa è fuggito in Libia quasi 5 anni fa, precisamente a giugno 2018. Si è registrato come rifugiato presso l’UNHCR di Tripoli ma non è MAI stato evacuato. L’unica cosa che l’ONU ha offerto a lui e a tanti rifugiati e rifugiate in fuga dall’inferno del Darfur è stato… tornare nell’inferno del Darfur. Musa ha sempre rifiutato.

Li chiamano rimpatri “volontari”. Le virgolette le ho messe io perché a mio parere non sono volontari per niente, sono sempre estorti con ricatti ignobili. Nel 2018 il mio amico Oscar tentò il mare. Venne catturato il 2 luglio dalla nave italiana Asso Ventinove su ordine della Marina militare italiana. Venne deportato nel terribile lager di Tarek al Mattar (finanziato dall’Italia), dove i libici lo torturarono ogni mattina per 14 giorni. Il quindicesimo giorno arrivo IOM con i foglio di rimpatrio. Lui lo firmò. Adesso è di nuovo in Sudan, immerso nell’orrore della guerra.

I rimpatri “volontari” operati da IOM sono finanziati dall’Europa, anche dall’Italia! Per questo l’ASGI sta facendo ricorso alla Corte dei Conti. IOM potrebbe venire condannata per danno erariale. A mio parere bisognerebbe condannare i capi di IOM anche per crimini contro l’umanità.

I rimpatri “volontari” di IOM vengono propagandati con la bugia del “i migranti sono felici di tornare a casa”. Il principale social media manager di IOM sembra quasi essere Rgowans, l’account twitter che ha minacciato giornalisti e il prete don Mattia Ferrari. La procura di Modena ha cercato di capire chi sia ma non ci è riuscita. Avrebbe forse dovuto chiedere allo staff tripolitano di IOM.

Rgowans pubblica costantemente questi bollettini di IOM:

Le foto di rimpatri che IOM propaganda sul suo sito sono sempre accuratamente scelte: gente in fila con le valige, contesti che paiono normali. IOM occulta sempre la disperazione della gente costretta a tornare nell’inferno da cui è fuggita.

Ho già raccontato che IOM ha rimpatriato le vittime di tratta, riconsegnandole ai loro aguzzini.

Voglio ora pubblicare foto di rimpatri organizzati da IOM che vi sconvolgeranno un po’. Ovviamente IOM non le ha pubblicate sul suo sito.

Gli allucinanti rimpatri in Darfur organizzati da IOM

E’ l’11 dicembre 2020. Lo staff di IOM non riesce ad organizzare uno dei suoi voli di rimpatrio “volontario” per Khartum, così cede 95 rifugiati sudanesi al Kufra Immigration and Deportation Center.

I rifugiati – che, ricordiamo HANNO DIRITTO ALL’ASILO IN EUROPA – vengono invece deportati in Sudan attraverso il deserto in queste condizioni:

Cosa fare. Cosa chiedere.

IOM, pur percependo miliardi di euro di fondi pubblici, non risponde mai alle domande e non rende mai conto delle proprie azioni. Non risponde neanche agli accessi agli atti presentati dagli avvocati dei rifugiati.

  1. In un mondo giusto, il mio amico Musa verrebbe evacuato dalla Libia in un paese sicuro.
  2. In un mondo giusto, il mio amico Oscar farebbe una causa a IOM per il rimpatrio da lui subito.
  3. In un mondo giusto, la Corte Penale Internazionale indagherebbe lo staff di IOM a Tripoli.

Dato che non viviamo in un mondo giusto, ci tocca lottare caso per caso. Al JLProject lo stiamo facendo, punto per punto, con impegno e fatica. Nel frattempo raccontiamo cosa succede al di là di quel mare che è sta diventando sempre più un muro.

Questo articolo è dedicato alle nuove volontarie del JLProject, che hanno risposto al mio appello e si sono unite, e anche a chi non ha potuto unirsi per mancanza di tempo ma ci ha incoraggiati a continuare. E’ dedicato anche ai lettori di questo blog e a chi lo sostiene. Un grazie speciale ad Angelo, Michele, Carla, Vittoria, Andrea, Ivano, Francesca, Giovanni, Maurizio.

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