Secondo il ministero di Salvini, un migrante non ha il diritto di sapere chi lo ha catturato in mare e deportato in Libia. Sono informazioni segrete NATO.
Il rifugiato, evacuato in Italia dall’ONU dopo anni di detenzione e lavoro forzato nei lager libici, oggi cerca la verità su ciò che gli è successo. Ma il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili gli nega questo diritto.
Il caso: una cattura in mare avvenuta il 17 febbraio 2020 su segnalazione di un aereo della missione Sophia.
All’epoca raccontai il caso su questo sito: migranti, inclusi donne e bambini, catturati in mare il 17 febbraio 2020 e fatti sparire.
Solo pochi riapparvero, dopo sei mesi, raccontando di essere stati reclusi in un lager segreto e poi utilizzati dalla Rada Special Forces come lavoratori forzati per la costruzione dell’aeroporto di Mitiga o come schiavi-soldato in operazioni militari. Ne nacque anche questa mia inchiesta su Il Manifesto.
Nei giorni del respingimento io e Leonardo Filippi di Left indagammo sulle dinamiche che avevano portato alla cattura dei rifugiati e scoprimmo che un aereo della missione Sophia aveva individuato in mare i gommoni e aveva passato le coordinate ai libici. Tale fatto ci venne confermato per iscritto dal ministero della difesa italiano.
Oggi una delle vittime vorrebbe fare causa per la sua deportazione, che è stata illegale
In Europa deportare persone è illegale. Catturare persone in acque internazionali e deportarle nelle prigioni libiche è illegale. E’ per questo motivo che, dopo aver perso in tribunale per il caso Hirsi e il caso Orione, il Governo italiano non usa più le sue navi militari per effettuare respingimenti in Libia.
Il caso del 17 febbraio 2020 è un caso di respingimento illegale, perché coordinato e ordinato da un aereo europeo.
Una delle vittime, che ora è in Italia, legalmente evacuata dall’UNHCR, si è rivolta a degli avvocati per fare causa. Il primo passo da fare, necessario per la causa, è un accesso agli atti presso il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, che adesso è il ministero di Salvini.
Il Ministero di Salvini ha respinto l’accesso agli atti
Gli avvocati hanno fatto un regolare accesso agli atti a nome della vittima, chiedendo di aver accesso a tutti i documenti riguardanti le attività svolte, inclusi i brogliacci delle conversazioni e comunicazioni, relative alle operazioni di soccorso del 17 febbraio 2020.
La risposta è stata un diniego.
Le motivazioni sono varie e molto interessanti. Studiamole.
La prima è che, secondo il ministero di Salvini, l’accesso agli atti non ha una motivazione valida.
Ma come??? L’intenzione di fare causa non è considerata una motivazione valida???
Poi, si legge nel diniego, sono sottratti all’accesso i documenti riguardanti “programmazione, pianificazione e condotta di attività operative-esercitazioni NATO e nazionali”, tra le quali rientrano anche quelle condotte dal Centro Operativo Nazionale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera – IMRCC”.
Ci si chiede perché il Governo italiano consideri “operazioni militari” eventi di soccorso in mare.
Continua ricordando che sono esclusi dall’accesso anche “i documenti dalla cui divulgazione non autorizzata possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione, e in particolare i documenti inerenti ai rapporti tra il Ministero dell’interno e le istituzioni dell’Unione europea, nonché tra il Ministero dell’interno ed enti e organismi di organizzazioni internazionali o di altri Paesi, anche in occasione di visite istituzionali”.
Perché un evento di soccorso in mare viene considerato un caso di ricurezza nazionale?
Per non farsi mancare nulla, il ministero di Salvini aggiunge che “L’eventuale accesso alle comunicazioni/documentazioni relative all’evento di cui trattasi, comporterebbe un pregiudizio concreto ai rapporti che intercorrono tra Stati ed alle relazioni tra soggetti internazionali, in particolare con il Governo libico“.
Insomma, non si vuole rovinare il rapporto con i libici.
Infine, la frase più d’effetto: “Non emerge una sua evidente strumentalità alla tutela di un interesse esclusivo e generale della collettività. Si ritiene infatti che le informazioni richieste siano da ricondursi, invero, al soddisfacimento di finalità di carattere meramente privatistico/associativo“.
Qui si nega, totalmente, il diritto della vittima ipotizzando chissà quali sua connessioni con le “cattivissime ONG” che vogliono sapere la verità sui fatti.
Negando l’accesso alla verità, il ministero di Salvini chi cerca di proteggere?
Questa è una bella domanda, a cui non possiamo dare una risposta certa ma su cui, dopo anni di attività in questo campo, posso fare delle ipotesi.
Nella mia esperienza di indagini su casi di respingimento ho visto decine di accessi civici agli atti respinti dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, che prima si chiamava Ministero dei Trasporti. Ci sono gli accessi agli atti respinti sotto Toninelli, quelli sotto la ministra PD De Micheli.
Erano tutti casi di respingimenti ordinati da assetti navalI o aerei europei. In questi anni ho letto solo una risposta positiva: era un raro caso in cui i libici avevano fatto tutto da soli.
Ma questo è un caso ancora più grave perché l’accesso, stavolta, è stato presentato a nome di una vittima. Ciò che si nega, qui, ad una persona, è il diritto di poter fare una causa legale.
Ciò che si vuole proteggere, qui, è un sistema di deportazioni illegali gestito dall’Europa (Italia in prima linea).
Ciò che si vuole impedire è il progetto qui sotto: MIGLIAIA di cause ai governi europei per i respingimenti in Libia che hanno scelleratamente e illegalmente eseguito.
E adesso che si fa?
Ci si oppone al diniego, si fa ricorso, si cercano altre vittime di questo e di altri casi. Io e gli aderenti al mio collettivo – il JLProject – siamo tutti i giorni al lavoro per poter fornire un avvocato a tutte le persone che sono state illegalmente deportate nei lager libici.
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