“Le guardie di Tajoura hanno sempre ucciso i rifugiati a colpi di pistola”.
Questo mi ripetono, in continuazione, da mesi, quindici persone che sono state a Tajoura nell’ultimo anno. Quindici persone che non si conoscono tra di loro (eccetto 3).
Quando me lo ha raccontato il primo, circa sei mesi fa, non ci ho creduto. Tajoura era un “centro di detenzione” finanziato da progetti italiani dell’AICS, al suo interno dichiaravano di lavorare anche ONG italiane. I racconti degli omicidi, poi, erano corredati da altre storie incredibili e raccapriccianti di torture, praticate addirittura con una “sedia elettrica”.
Al primo che me lo ha raccontato, quindi, non ho creduto.
Al secondo, neanche.
Al terzo, ho iniziato a vacillare.
Al quarto ho iniziato a credere, perché nel frattempo il terzo era stato torturato con la “sedia elettrica”.
Poi sono arrivati tutti gli altri. Che raccontavano le stesse storie, con esattamente gli stessi particolari.
Quanti omicidi sono avvenuti a Tajoura?
Nel periodo che ho ricostruito, un anno, dal luglio 2018 al bombardamento (1 luglio 2019), i testimoni mi hanno riferito 9 casi.
9 persone uccise a colpi di pistola dalle guardie di Tajoura nel solo ultimo anno.
L’ultimo omicidio, duplice, sarebbe avvenuto il 14 giugno 2019, poco più di un mese fa.
Agli omicidi, sempre secondo le testimonianze, vanno aggiunte le centinaia di segnalazioni di episodi di tortura. Secondo le testimonianze, ho scritto, ma anche secondo le moltissime fotografie che ho ricevuto dai rifugiati di Tajoura:
- ferite,
- segni del passaggio di corrente,
- braccia e gambe rotte,
- schiene con inequivocabili segni di frustate fresche.
Qualche settimana fa ho deciso di pubblicare un piccolo diario esempificativo di ciò che accade quotidianamente nel lager di Tajoura.
Sono solo alcune delle informazioni che ho ricevuto dalle mie fonti. Ma bastano per capire che a Tajoura si moriva anche prima delle bombe del 1 luglio. Si moriva in vari modi, anche uccisi dalle guardie a colpi di pistola.
Lo ripubblico qui.
Cronologia delle testimonianze che mi sono arrivate da Tajoura sul periodo 7 maggio – 20 giugno 2019
- 7 maggio 2019: una bomba cade sul tetto dell’Hangar 3.
- 23 maggio: arriva un gruppo di rifugiati catturato in mare.
- 25 maggio: le guardie torturano selvaggiamente un rifugiato. Lo legano alla “sedia elettrica” e gli spezzano le gambe.
- 29 maggio: un cittadino del Bangladesh muore in circostanze misteriose.
- 29 maggio: Rossella Muroni, con Fratoianni e Palazzotto, presentano alla Camera un’interrogazione parlamentare sulle torture a Tajoura.
- 4 giugno: arrivano altre 50 persone catturate in mare.
- 11 giugno: un rifugiato viene torturato brutalmente.
- 14 giugno: due rifugiati vengono uccisi dalle guardie a colpi di pistola.
- 15 giugno: tutti hanno sete. Sono da 4 giorni senza acqua.
- 16 giugno: l’ambasciatore italiano Buccino Grimaldi fa una visita a Tajoura (forse per rispondere all’interrogazione parlamentare?). Ma non parla con i rifugiati e non entra nella cella delle torture. Però si fa scattare una bella foto all’esterno.
- 18 giugno: 4 rifugiati vengono picchiati molto duramente dalle guardie. Hanno segni di frustate sulla schiena.
- 20 giugno: ancora torture. Le guardie usano la frusta e i bastoni. Rompono il polso ad un rifugiato. Medici Senza Frontiere arriva, lo ingessa, ma lo lascia lì.
Lo stesso giorno, il capo delle guardie di Tajoura organizza una partitella di pallone.
Tutte le altre informazioni (con date, nomi delle vittime, testimoni) le ho passate ad alcuni avvocati. Molte sono già confluite in questa denuncia qui sotto. Altre, confluiranno in ulteriori azioni legali:
Il 22 luglio 2019, il Cairo Institute for Human Rights Studies, l’ASGI e l’ARCI hanno presentato una richiesta congiunta alla “Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli” affinché svolga un’indagine sulle gravi violazioni dei diritti umani che rifugiati e migranti subiscono nei centri di detenzione libici. “Agghiaccianti violenze” provate da informazioni pubbliche e da dichiarazioni di persone detenute a Tajoura, Zawiya e Zintanricana sui diritti umani di indagare.
leggete tutto l’articolo su Altraeconomia.
La cosa più incredibile è che sia io a raccontarvelo.
E’ qualcosa che rende incredula anche me. A volte mi sveglio nella notte e rifletto, faccio il debunker di me stessa e ipotizzo che sia tutto soltanto una montatura, che mi abbiano presa in giro.
Controllo e ricontrollo con maniacale perizia le mie fonti. Mi faccio spedire foto e video girati in diretta. Traccio i loro ip. Li tormento.
Chi mi scrive, lo capisce, sa di raccontare storie “incredibili” per una mamma di famiglia che vive in Italia. Non si offende quando lo subisso di domande e dubbi che neanche il negazionista più incallito riuscirebbe a concepire.
Cosa non torna
Eppure c’è un particolare che non quadra, un grosso particolare.
Non è un particolare che concerne le testimonianze, che, incrociate tra loro, collimano tutte.
E’ un particolare che riguarda noi: l’Italia.
Gli italiani hanno un piede dentro Tajoura. Perché non raccontano di omicidi e torture?
L’associazione Helpcode, vincitrice del bando Minniti e seguenti, dichiara di lavorare dentro Tajoura da diversi anni.
La capo progetto, Valeria Fabbroni, ha più e più volte dichiarato pubblicamente: ” Noi non abbiamo mai assistito a situazioni di violenza perpetrata contro i detenuti“.
L’ultima volta che lo ha detto alla radio era il 5 luglio 2019. Potete ascoltare l’intervista a questo link.
In un altro caso, lo aveva dichiarato in una intervista alla blogger Francesca Totolo (quella diventata famosa per la bufala sullo smalto di Josefa).
Ogni volta che a Tajoura torturano o uccidono qualcuno, mi arrivano decine di telefonate dai rifugiati. A me, mamma che vive in Italia. Possibile che chi dichiara di lavorare a Tajoura (ovvero Helpcode) non ne sappia nulla?
Facciamo un esempio:
Il 14 giugno i rifugiati mi riferiscono che due ragazzi sono stati uccisi dalle guardie a colpi di pistola.
Il 16 giugno l’ambasciatore italiano Giuseppe Maria Buccino Grimaldi è in visita a Tajoura, forse per rispondere all’interrogazione parlamentare sulle torture a Tajoura (ma la risposta non è ancora arrivata in Parlamento). Il suo staff posta questa fotografia, con in primo piano un uomo con la maglia di Helpcode:
L’Italia è lì. Come è possibile che non racconti?
Non solo: la cosiddetta Guardia Costiera Libica, che ha appena ricevuto altre 10 motovedette e quasi 7 milioni di euro di finanziamento dall’Italia, continua a deportare gente a Tajoura.
Martedì 23 luglio 2019 hanno portato 38 persone, compresa una donna incinta.
Di fronte alle due versioni contrastanti (A: Tajoura lager dove si uccide e si tortura e B: Tajoura normale centro di detenzione per migranti) alzo anche io le braccia. Non so spiegarmi perché contrastino in questo modo.
Trovate incredibile che una mamma che vive in Italia diventi portavoce dei rifugiati di Tajoura e vi racconti che le guardie torturano e uccidono persone, mentre l’ambasciata italiana e una ONG che lavora lì pagata da soldi pubblici non dicono nulla?
Anche io.
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