Tra gli sbarchi di questa settimana, anche quello di un gruppo di sopravvissuti al bombardamento di Tajoura. Secondo testimoni, UNHCR li avrebbe cacciati dal GDF (l’edificio sicuro di UNHCR a Tripoli), lasciando loro come unica soluzione quella di rivolgersi ai trafficanti.
“UNHCR pushes people into the sea”
Questa accusa, pesantissima, arriva direttamente dai rifugiati in Libia.
Ricordiamo i fatti:
- 2 luglio 2019. Bombardamento del lager di Tajoura. 2 raid aerei uccidono circa 100 persone. Tajoura è obiettivo militare: il lager è pieno zeppo di armi da guerra e i migranti vengono usati come scudi umani.
- Giorni seguenti al bombardamento: i sopravvissuti, abbandonati da UNHCR, marciano verso Tripoli e si accampano davanti al GDF chiedendo a UNHCR di entrare. Dopo un iniziale rifiuto, UNHCR capitola e li lascia entrare.
- Settembre 2019. UNHCR chiede ai sopravvissuti al bombardamento di Tajoura di uscire dal GDF.
Oggi. Gli sbarchi.
Tre giorni fa, tra i tanti sbarchi, ce ne è stato uno a Malta. A bordo di una piccola imbarcazione scampata alle onde, c’era un gruppo di 15 cittadini somali, tra cui diverse donne.
Tutti e 15, secondo testimonianze, sarebbero stati cacciati dal GDF e non avrebbero avuto altra scelta che rivolgersi ad un trafficante per attraversare il Mediterraneo.
Oggi Alarm Phone segnala un’imbarcazione in difficoltà. Anche tra quei naufraghi ci sarebbero sopravvissuti al lager di Tajoura.
Il ruolo di UNHCR nell’evacuazione della Libia
UNHCR, assieme a IOM, dovrebbe provvedere ad evacuare la Libia e a trasferire i rifugiati in varie parti del mondo, secondo i suoi stessi criteri standard di priorità. Criteri che, come sto denunciando da un pezzo, NON vengono rispettati.
Pochissimi fortunati riescono ad uscire dall’inferno libico. Eppure recentemente gli Stati europei si sono dimostrati disponibili all’accoglienza ed è stato aperto un nuovo canale con il Rwanda.
Il ruolo di UNHCR in sbarchi e naufragi
Il caso dei sopravvissuti al bombardamento di Tajoura è emblematico: per un giorno tutto il mondo piange (o finge di piangere) i morti sotto le macerie di un lager finanziato dal Governo italiano dove le persone già morivano in silenzio, uccise dalle guardie a colpi di pistola. Capi di Stato emanano messaggi di costruito cordoglio.
Dopo 48 ore la notizia del bombardamento passa di moda. Centinaia di persone scampate alle bombe vengono abbandonate nel lager, dove non arriva più neanche il cibo. Protestano, camminano nonostante i piedi piagati, riescono ad entrare nel GDF e ne vengono cacciati.
Oggi queste persone, invitate da UNHCR a togliersi di torno, hanno come unica possibilità di sopravvivenza quella di rivolgersi ai trafficanti per attraversare il Mediterraneo su barche fatiscenti.
Negando la protezione a persone che ne avrebbero diritto, UNHCR alimenta gli sbarchi. E le morti in mare.
Questo è un fatto.
Altri abbandonati da UNHCR, altri sbarchi, altre morti
Ho fatto l’esempio dei sopravvissuti al bombardamento di Tajoura, ma ci sono tantissime altre persone che si sono avventurate in mare dopo aver ricevuto un diniego da UNHCR.
E’ il caso di chi è fuggito dai lager perché vittima di tortura o perché erano 5 giorni che non veniva fornito cibo. Una volta fuggiti da un lager, non si ha più diritto all’evacuazione. Che si fa, allora? Si tenta il mare.
E’ la storia del giovane Ato Solomon, eritreo, deportato da una nave italiana quando era ancora minorenne. Ve l’ho raccontata la settimana scorsa.
E’ la storia di una neonatina di appena un mese (la mamma, somala, stava per abortire dopo 5 giorni senza cibo e il papà, eritreo, ha deciso di portarla fuori dal lager in cui erano rinchiusi. Ora sono a Tripoli, homeless, e UNHCR li ha abbandonati).
E’ il caso di cittadini nati con nazionalità che non vengono considerate degne di aiuto.
E’ la storia dei cittadini del Sud Sudan ai quali UNHCR ha recentemente negato la protezione.
E’ la storia di tantissime persone che in queste ore stanno mettendo la loro vita nelle mani di trafficanti. Molte di loro moriranno.
Gli sbarchi non hanno un pull factor, ma hanno un push factor.
I sovranisti hanno tentato far passare l’idea che la presenza in mare delle navi delle ONG sarebbe un pull factor (fattore di attrazione) per i migranti. Le statistiche indicano il contrario, come ha dimostrato l’ottimo lavoro di Matteo Villa.
Io, basandomi sulle motivazioni di centinaia di rifugiati che sto seguendo in Libia, ho invece individuato alcuni push factors (fattori di spinta) per le partenze.
Essi sono:
- le torture nei lager libici
- la guerra in Libia
- la mancanza di protezione internazionale e l’abbandono da parte di UNHCR
Sì, i rifugiati hanno ragione a scrivere che “UNHCR pushes people into the sea“.
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