In un certo senso ringrazio la viceministra Sereni, perché è la prima volta che il Governo si degna di rispondere ad un’interrogazione parlamentare ispirata dal mio lavoro.
Ma la risposta che ha fornito mi appare qualcosa di a dir poco vergognoso. Vergognoso per una persona come la viceministra degli Affari Esteri Marina Sereni, che da giovane era impegnata nel Movimento della Pace, vergognoso per un partito, il PD, che ha architettato accordi iniqui con il Governo libico mascherandoli da aiuti umanitari e vergognoso per un Governo, quello italiano, che ancora e ancora tenta di negare che a due passi da noi, dall’altra parte del mare, stia avvenendo il massacro di uomini, donne e bambini che hanno l’unica colpa di essere nati africani.
Lo avete capito: questa risposta mi ha fatto arrabbiare. Ma ho fatto un bel respiro e non ho scritto subito, ho lasciato passare qualche settimana, sbollire la rabbia, anzi, trasformarla in nuova forza per raccontare.
Questo articolo lo scrivo carica di questa forza.
L’interrogazione parlamentare sugli schiavi soldato
A giugno la bravissima deputata Rossella Muroni (LeU) ha presentato alla Camera un’interrogazione parlamentare per chiedere al Governo italiano di far luce sul racket dei migranti catturati in mare e trasformati in schiavi soldato dal Governo di Accordo libico di Al-Sarraj.
L’interrogazione era tratta dalla mia inchiesta pubblicata su questo blog:
Negli stessi giorni avevo anche scritto un articolo su Il Manifesto che è stato letto da migliaia di persone.
I fatti che denuncio
Nel corso del 2020 secondo l’ONU sono scomparsi 1.715 rifugiati catturati dalla Guardia costiera di Tripoli finanziata dall’Italia. Io ne ho ritrovati alcuni che erano riusciti a fuggire. Persone che non si conoscono tra di loro e che mi hanno raccontato la stessa storia: dal mare i rifugiati vengono portati in segreto nel lager di Triq al Sikka. Da lì, una parte viene ceduta subito alle terribili milizie di Al Serraj per essere impiegata come schiavi-soldato. Un’altra parte subisce un «processo» (senza avvocati difensori!) e viene rinchiusa nelle carceri ordinarie (soprattutto nel carcere di El Jadida a Tripoli). Al termine di questa detenzione, alcuni vengono ceduti alle milizie come schiavi.
L’Italia, quindi, sta fornendo schiavi al Governo di Accordo Nazionale Libico.
Tra le PROVE in mio possesso non ci sono solo testimonianze, ci sono anche foto, video e addirittura le coordinate satellitari di lager segreti in mano a milizie dove vengono trasferiti i rifugiati catturati in mare.
Ma veniamo alla…
Risposta della viceministra Sereni
Dopo 3 mesi, è così arrivata la risposta, firmata Marina Sereni. E’ stata una sorpresa, perché di solito il Governo italiano non risponde mai alle domande generate da mio lavoro.
La potete leggere integralmente qui:
Vediamola assieme passo passo.
La viceministra Sereni scrive un preambolo di ben 2 pagine su ciò che (secondo lei) il Governo ha fatto di buono per i rifugiati abbandonati in Libia. Ve lo riassumo aggiungendo qualche mia piccola utile annotazione.
- “Nel triennio 2017-19 la Libia ha beneficiato (in aggiunta alle risorse della Cooperazione allo Sviluppo, su cui si riferisce oltre) di 58 milioni di Euro stanziati nell’ambito del Fondo Africa, uno strumento grazie al quale la Farnesina ha finanziato interventi“. NOTA MIA: E’ quel Fondo Africa per cui ASGI, assiame ad Amnesty International e a tante altre associazioni, stanno facendo da tempo una battaglia legale contro il Governo italiano, che a loro parere sta violando il diritto internazionale utilizzando soldi pubblici per la deportazione di persone nei lager. SECONDA NOTA MIA: perchè la Sereni pensa che sia una cosa buona il fatto che 58 milioni di euro di soldi pubblici siano stati donati ad uno Stato che uccide, tortura e schiavizza le persone?
- “Il Fondo Africa della Farnesina ha contribuito a realizzare, nel corso degli ultimi anni, circa 50.000 rimpatri volontari assistiti di migranti effettuati dall’OIM dalla Libia verso i Paesi di origine“. NOTA MIA: conosco moltissimi rifugiati del Darfur reimpatriati “volontariamente” da IOM, raccontano tutti la stessa storia, ve ne riporto una: “Nel campo di Tarek al Mattar (NB finanziato dall’Italia!) le guardie ci bastonavano tutte le mattine. Dopo due settimane di bastonate è arrivato IOM e ci ha detto che la nostra unica speranza era il reimpatrio. Io ho accettato“. Tra chi non ha accettato c’erano Melake, Solomun e Samuel. Sono morti di fame e malattia sul pavimento del lager. C’era anche un ragazzo a cui le guardie, durante una sessione di tortura, hanno bucato la mano con un trapano.
- “Il Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Di Maio ha esplicitamente richiesto a fine 2019 a OIM e UNHCR di tracciare un piano d’azione congiunto, volto non solo all’assistenza diretta ai migranti e ai rifugiati, ma anche al progressivo superamento del sistema dei centri di detenzione, con il parallelo sviluppo di progetti di aiuto in contesti urbani. La recente visita del Ministro a Tripoli è stata occasione per annunciare il lancio del pacchetto di 9 milioni di Euro con i quali la Farnesina finanzia parte del sopra menzionato Piano d’azione OIM-UNHCR per la realizzazione di progetti di aiuto alle comunità locali e coesistenza pacifica con i migranti, sia nel sud che nel nord del Paese; di assistenza diretta ai migranti e ai rifugiati in contesti urbani, nonché di iniziative di capacity-building in materia di diritti umani a favore delle istituzioni libiche incaricate della gestione dei flussi migratori e delle strutture detentive“. NOTA MIA: non posso dire nulla su un progetto chiesto a fine 2019 e non ancora attuato. Mi limito a ricordare che UNHCR in Libia HA GIA’ 60 milioni di budget e che – secondo un’accusa molto pesante rivolta da MSF – rifiuta di fornire assistenza medica ai rifugiati. Ho molte testimonianze di persone malate, ferite, incinte che a Tripoli non vengono ammesse negli ambulatori di UNHCR. Per esempio Seid, preso in mare e deportato in Libia nell’estate 2018 da una nave italiana Asso, è morto 3 mesi fa. Secondo gli amici era stato sfollato da un lager e abbandonato dalle agenzie ONU all’angolo di una strada. Denutrito e malato, è morto dopo 48 ore. UN CONSIGLIO ALLA VICEMINISTRA SERENI: forse questi 9 milioni di euro nostri sarebbe meglio metterli nelle mani di MSF.
- “Il miglioramento delle condizioni delle persone più vulnerabili è stato perseguito anche con interventi di Cooperazione allo Sviluppo (…) A partire dal 2017, l’AICS ha finanziato 9 iniziative realizzate da OSC (HELPCODE Italia, Emergenza Sorrisi, CESVI, Terre des Hommes Italia, CEFA, We World GVC) per un importo complessivo di 6 milioni di euro, intervenendo nei centri migranti di Tarek al Seka, Tarek Al Matar, Daher Al Jabal, Bouslim, Azzawya (El Nasr), Janzour, Tajoura, El Qasr Bin Gashir, Khoms, AlSaaba“. NOTA MIA: questa è davvero una chicca immemorabile! Sono anni che racconto le numerose ed inquietanti ombre sulla presenza/assenza in Libia delle uniche 6 associazioni che hanno accettato i soldi dell’AICS per “migliorare i lager libici”. Di recente c’è stato anche un’illuminante rapporto dell’ASGI in cui viene messo in discussione il corretto utilizzo di questi fondi e addirittura ipotizzato che a beneficiarne non siano i rifugiati bensì i loro carcerieri.
Il lager di Triq al Sikka secondo la viceministra Sereni
Dopo questo lungo preambolo, la viceministra Sereni scrive un paragrafo sul lager di Triq al Sikka. ve lo riporto integralmente (tanto è corto):
Con particolare riguardo al campo di Terek al Seka hanno operato le seguenti OSC: HELPCODE, CESVI e CEFA. Tutte le loro iniziative sono state concluse entro il 2019, tranne quella di CEFA, in via di conclusione. UNHCR e OIM sono presenti regolarmente all’interno del centro, così come altre ONG internazionali quali International Rescue Committee e International Medical Corps. Il centro è collocato nell’omonimo quartiere di Tripoli, proprio dinnanzi ai locali che un tempo ospitavano la “Gathering and Departure Facility”, centro modello gestito da UNHCR e chiuso nei mesi scorsi. Il 7 agosto scorso, in occasione delle periodiche attività di intervista, registrazione e assistenza sanitaria fornite ai migranti all’interno dei centri governativi, le Nazioni Unite hanno censito all’interno di Tarek Al Sika 240 migranti, 118 dei quali ritenuti particolarmente vulnerabili.
A leggerlo, Triq al Sikka sembrarebbe un posto sicuro. Mi chiedo quante persone che sono o sono state imprigionate a Triq al Sikka la viceministra Sereni conosca…
Io ne conosco molte. Soprattutto donne, perché nell’hangar degli uomini di triq al Sikka (anche dette “cella underground delle torture”) non ci sono telefoni. Come ho raccontato, le guardie di Triq al Sikka trattengono le ragazze giovani e belle escludendole dalle evacuazioni. L’UNHCR nulla può fare, perché la decisione ultima sulla salvezza delle donne stuprate nei lager viene presa dalle stesse guardie libiche, ovvero dai loro stessi violentatori. Come ho contato, i morti in questo lager sono moltissimi. Si muore di malattia, sul pavimento, senza ricevere alcuna assistenza medica, neanche una tachipirina, nonostante i 6 milioni di euro di fondi pubblici italiani.
Noto che la viceministra Sereni conosce l’ubicazione del lager di Triq al Sikka, ma omette un particolare importante. Il lager, sì, “è collocato nell’omonimo quartiere di Tripoli, proprio dinnanzi ai locali che un tempo ospitavano la “Gathering and Departure Facility”, centro modello gestito da UNHCR e chiuso nei mesi scorsi”. Ma la ministra sa perché il GDF è stato chiuso e il personale evacuato? L’UNHCR ha dato una motivazione precisa tramite Carlotta Sami, portavoce di UNHCR. In un’intervista a Radio1 la Sami ha dichiarato: “purtroppo a questa struttura è stato creato, vicino, un campo di addestramento per milizie e temiamo che possa diventare un obiettivo militare“.
Anche Jean-Paul Cavalieri, capo missione UNHCR in Libia, scrive la stessa cosa: “Unfortunately UNHCR was left with no choice but to suspend work at the Gathering and Departure Facility in Tripoli after learning that training exercises, involving police and military personnel, are taking place just a few meters away from units housing asylum seekers and refugees” (fonte, comunicato ufficiale UNHCR).
Ora, mi chiedo, se quel luogo è così pericoloso che UNHCR è stata costretta a chiudere il suo centro, perché il Governo italiano continua a propinarci la storiella – anche oggi, con le parole della viceministra Sereni – che Triq al Sikka sia sicuro per i rifugiati?
Ah, l’avrete capito d soli, ma, sì, il “luogo di addestramento per milizie” citato da UNHCR è proprio uno dei centri di smistamento degli schiavi soldato catturati in mare denunciato nell’interrogazione parlamentare della deputata Muroni!
Finalmente, arriva la vera risposta all’interrogazione
Quattro righe di risposta, dopo due pagine di “abbiamo fatto anche cose buone”.
Eccola qui:
Sentita al riguardo, la nostra Ambasciata a Tripoli ha riferito di non essere al corrente degli specifici eventi citati dall’interrogante, che risultano non essere noti neppure ai rappresentanti locali delle Nazioni Unite. Ciononostante, posso assicurare che questa Amministrazione continuerà ad interessarsi attivamente allo specifico centro migranti menzionato nell’interrogazione.
Insomma: nessuno sa niente.
E’ vero? NO. E’ falso. L’ONU lo sa e lo ha anche denunciato. Già nel gennaio 2020 l’Unhcr temeva che i migranti venissero utilizzati come schiavi-soldato e lo ha rivelato con le parole di Vincent Cochetel (che è proprio un rappresentante di UNHCR!).
Quanto all’ambasciatore in Libia, Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, non capisco proprio perché queste cose le so io e non le sa lui! Non sarà che magari il Ministero lo ha mandato per errore in Libano? (cit. Di Maio) Non sarebbe forse il caso di sostituirlo con una persona più informata su cosa avviene a Tripoli o quantomeno di affiancargli qualcuno capace di parlare con i rifugiati?
Perché qui il problema sembra essere sempre lo stesso: la politica parla di migrazioni senza MAI dar voce ai migranti. Per controllare che vengano rispettati i diritti umani bisogna parlare con gli umani e non solo con ambasciate/organismi/contractors ecc.
Alla viceministra Sereni voglio adesso raccontare la storia di un paio di SCARPE.
State tranquilli, questa storia non ha nulla di futile.
Metterò alcune fotografie. La prima è questa:
Liliana Segre racconta che ad Auschwitz i nazisti assegnavano ai prigionieri scarpe spaiate e di misure diverse. Sadismo. Si camminava nella neve con una scarpa con il tacco ad un piede ed uno stivale all’altro…
… oppure si doveva lavorare per 20 ore con due ciabatte diverse.
Ma questa seconda foto non è del 1944. È stata scattata un mese fa, in Libia.
La storia che voglio raccontare è quella del ragazzo che ha indossato queste ciabatte.
Tutto inizia nel Mediterraneo, quando una motovedetta della #cosiddettaGuardiaCostieraLibica (pagata da noi italiani!) cattura un gommone di rifugiati.
Nel gommone c’è gente che ha tentato il mare già 5 volte. C’è anche il giovane Sebastian, che assieme ai suoi compagni di sventura viene condotto davanti ad un giudice a Tripoli. Un processo “regolare”, ma alla libica, ovvero “Se sei straniero non hai diritto ad un avvocato difensore” L’accusa è “immigrazione clandestina”, anche se Sebastian dalla Libia stava cercando di uscire.
La condanna è pesante: 2 ANNI DI RECLUSIONE. Così Sebastian viene portato nel carcere ordinario di Tripoli. Quello dove dovrebbero essere rinchiusi assassini e violentatori. Ma gli assassini e i violentatori sono quelli che hanno catturato Sebastian, stanno fuori dal carcere. Dentro ci sono moltissimi rifugiati, che non hanno mai fatto azioni violente. Il carcere ordinario di Tripoli, comunque, è solo un luogo di passaggio. Si rimane lì fino a quando si viene “scelti”.
Sebastian viene scelto una mattina. Trasferito, torturato. Poi rivestito alla meno peggio. I soldati libici del Governo di Al Sarraj gli assegnano le ciabatte diverse che vi ho mostrato.
Lavorare. 20 ore al giorno. Marciare, scaricare casse di armi, spostare mattoni. Tutti i giorni.
La mamma di Sebastian lo crede morto in mare.
Anche le mamme degli altri schiavi che sono con Sebastian credono che i loro figli siano morti. In tutto l’iter cattura-deportazione-processo-prigione-riduzione in schiavitù non è stato concesso loro di chiamare un avvocato, figuriamoci la mamma!
Grazie alle motovedette italiane, la Libia usufruisce di migliaia di schiavi invisibili.
Sebastian indossa queste scarpe il giorno che coglie al volo la disattenzione di un miliziano armato e, finalmente, riesce a scappare.
Corre come il vento con queste ciabatte. Ce la fa! Riesce a raggiungere un amico, che gli offre protezione e fa una foto alle sue scarpe.
Queste:
(FINE DELLA STORIA)
Come questa, ho altre storie. Io e il JLProject abbiamo raccolto un dossier di testimonianze, fotografie e altre prove.
I buoni propositi della viceministra Sereni
Mi fa molto piacere che, alla fine della sua risposta, prima di un’altra inquietante paginetta di “faremo anche altre cose buone assieme al Governo libico”, la viceministra rassicuri su future indagini che verranno effettuate (visto che l’ambasciatore italiano non sa nulla).
Scrive:
Sul piano multilaterale, il Governo italiano ha di recente sostenuto in seno al Consiglio per i Diritti Umani ONU (CDU) una risoluzione promossa dai Paesi del Gruppo Africano con l’appoggio del Governo di Accordo Nazionale libico che prevede anche l’istituzione di una Missione conoscitiva indipendente (Fact-Finding Mission) di esperti delle Nazioni Unite che investighi sulle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario perpetrate da entrambe le parti in Libia.
Dato che i rifugiati a Tripoli denunciano che l’ONU non li ascolta mai, che non ascolta le loro testimonianze, ho qualche dubbio su questa “Missione conoscitiva indipendente”. Comunque mi metto a completa disposizione degli “esperti delle Nazioni Unite” per fornire tutte le prove di ciò che ho raccontato e fornire testimoni diretti.
Credo che una Missione conoscitiva indipendente debba ascoltare la voce delle vittime, non solo quelle dei carnefici. Altrimenti, indipendente non è.
Per concludere…
Reputo la risposta che ho ottenuto dal Governo italiano un insulto pesante al faticoso lavoro di indagine e di ascolto delle voci dei rifugiati in Libia che io e tanti altri cittadini italiani stiamo facendo pro bono al posto delle istituzioni (preposte e pagate dalla collettività) che “non sono al corrente degli eventi”.
Ma non mi lascio ferire da questo insulto. Non mi lascio zittire. Io, a differenza dell’ambasciatore italiano in Libia, SONO AL CORRENTE DEGLI EVENTI. E, adesso, anche il Governo italiano è al corrente. Può negarli ora, sì, ma in futuro non potrà dire che non sapeva.
Questo articolo lo dedico ad Ant, che è stato catturato dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica, con una motovedetta regalata dall’Italia alla Libia, ed è sparito nel nulla. I suoi parenti credevano che fosse morto. Grazie ad alcuni ragazzi coraggiosi che, fuggendo, sono riemersi da questo buio, ho scoperto che è vivo e si trova nel sistema degli schiavi-soldato. Ant è uno schiavo fornito dall’Italia alla Libia! E’ anche un mio amico e mi manca molto.
Lo dedico anche a tutti coloro che hanno sostenuto il mio blog nell’ultimo periodo, dandomi modo di continuare le mie ricerche. Se “siete a conoscenza degli eventi” è anche grazie a Francisco, Mirella, David, Teresa, Marco, Leonardo, Massimiliano, Anna, Mattia, Liliana, Piera, Cristina, Elena.
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