Nasce il “Josi & Loni Project”, un collettivo che ha un fine molto ambizioso.

Scopo: fermare le deportazioni in Libia.

Appena lanciata l’idea su Twitter, abbiamo subito tante belle adesioni. Belle soprattutto perché arrivano da persone normali. Alcuni di loro sono anche scrittori, giornalisti, documentaristi, ma soprattutto sono gente normale.

Il nome

Josi e Loni sono i nomi di un ragazzo che è morto e di un bambino che nato. Entrambi sono saliti su una nave italiana che li ha deportati nei lager libici.

Josi era un ragazzo sano quando è salito sulla nave italiana.  E’ stato portato in Libia contro la sua volontà, chiuso in un lager di Al Serraj in cui già era in atto un’epidemia di TBC, l’ha presa, è morto per terra, dopo una lunga agonia, senza assistenza medica né medicine.

Loni era nella pancia della sua mamma. Ancora poche ore di gommone e sarebbe nato in un opsedale italiano. Al sicuro, al pulito. La nave italiana ha portato in Libia sua mamma. Loni è nato un mese dopo, sul pavimento di un lager.

Su quel pavimento si nasce e si muore. Su quel pavimento ci sono, oggi, le persone che stiamo cercando di aiutare con il nostro progetto.

Il Josi e Loni Project è un progetto culturale, ma anche molto pratico.

Il contrasto alle deportazioni in Libia

avverrà mediante una serie di azioni, tra cui:

1) Il costante racconto degli effetti di tali deportazioni.

Narriamo, una per una e in tempo reale, le storie e le sofferenze delle persone che l’Europa ha deportato nei lager libici.

Abbiamo già iniziato a restituir loro la voce. Siamo in contatto con quasi un centinaio rifugiati. Sono, per la maggior parte, ragazzini e ragazzini dai 16 al 22 anni. Qualcuno più piccolo, qualcuno poco più grande.

2) La ricerca dei deportati dalle navi europee e l’aiuto nell’organizzazione di class action contro Stati e compagnie di navigazione.

Abbiamo già trovato quasi tutti i deportati del 2 luglio. Li abbiamo messi in contatto con esperti avvocati dell’ASGI che seguono pro-bono il loro caso.

Avete presente il lavoro di Erin Bronckovich? Stiamo facendo un po’ la stessa cosa. Mettendoci quel tipo di passione e di coinvolgimento.

3) Il monitoraggio delle navi cargo europee nel Mediterraneo.

Il mondo ha scoperto la deportazione del 30 luglio solo perché quel giorno, in mare, la nave di Open Arms era in ascolto. Noi abbiamo scoperto la deportazione del 2 luglio… parlando con le vittime. Ce ne potrebbero essere altre. ancora sconosciute. Teniamo sempre gli occhi e le orecchie aperte.
Abbiamo già iniziato il monitoraggio.

Una riflessione sul sistema delle deportazioni in Libia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza del caso Hirsi, lo ha chiarito al mondo: una nave battente bandiera dell’Unione Europea NON PUO’ deportare persone in Libia.

L’Italia è stata condannata già una volta, ma a quanto pare, non ha imparato la lezione. La Corte UE lo ha ribadito ieri.
Eppure l’Italia sembra non ascoltare. Tra le altre cose, continua a regalare motovedette ai libici e addestrare la sua cosiddetta guardia costiera. Sara un sistema per aggirare le leggi europee?

Riprendiamoci le parole.

Rivendichiamo l’uso del termine DEPORTARE per raccontare queste storie, in quanto verbo della lingua italiana, il cui significato è:

Come partecipare al progetto e come avere maggiori informazioni

Potete unirvi al collettivo o ricevere maggiori informazioni scrivendo una mail a josiloniproject@gmail.com

Aggiornamento gennaio 2020: il JLProject ha vinto un’importante battaglia!

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Questo articolo ha 8 commenti

  1. ERMINIA Romano

    Grazie del vostro lavoro!-Non saprei COME aiutarvi ma mi.interessa avere info alls mia mail cge cercherò diffondere. Sono una Donna in Nero di.Napoli. Saluti. ERMINIA ROMANO

  2. Luciano Cucca

    Io sono qua. Se vi posso aiutare, cercatemi, vi sto scrivendo una email, scrivetemi e dattemi tutte le informazioni possibili per riuscire ad essere attivo per questa causa. Grazie e buon lavoro a tutti.

  3. sara rancan

    Sei fantastica se non facessi informazione tu non lo saprebbe nessuno.io metto su twitter anche se certi contenuti volevo mostrarli anche a stranieri su instagram ma non hai messo nulla là. grazie-

    1. sarita

      Ciao e grazie.
      Io non uso instagram. Non ce la faccio a star dietro a tutti i social network. Uso poco Facebook e tantissimo Twitter.
      Perché non entri nel collettivo e ti occupi di instagram?

      1. sara rancan

        anche io non riesco a seguire tutti quelli che scrivono dei rifugiati. non me ne intendo li uso solo da un anno ma credo twitter sia usato per stupidaggini credo 🙁 facebook è più seguito e il prossimo tuo lo condivido alla faccia degli amici leghisti sai vivo in veneto 🙁 entrerei nel collettivo ma a causa della mia sindrome di turner ci capisco poco di social e non mi muovo da casa. so solo che facebook impedisce di condividere certi tuoi video .c’è whats up ma io ho solo mio fratello e 2 sorelle. su insta invece mi seguono americani vegani e fan di star avrei più visualizzazioni. peccato

  4. Chiara Tenti

    Ciao,
    anche a me piacerebbe partecipare. Uno abbastanza facebook, un po’ meno twitter. Ho accounts anche su altri social network, lavoro al pc tutti i giorni.
    Quindi, se volete mi posso occupre di qualcosa.
    Ciao, e complimentissimi per il lavoro!!!

    1. sarita

      Ciao Chiara

      non è obbligatorio avere account social. Nel collettivo c’è chi si occupa di una cosa e chi di altre.
      Se vuoi entrare manda una mail con il tuo nome e numero di telefono a josiloniproject@gmail.com.
      Ti chiameremo.

  5. Carlo Di Lucia

    Per favore unitemi al collettivo, sarei felice di contribuire.
    Grazie

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