Vittima e testimone chiave del caso Asso Ventinove, Malik rischiava la morte nel terribile lager libico di Ain Zara. Ora è al sicuro in Italia.
Come ho trovato Malik, vittima e testimone chiave del caso Asso Ventinove
Il 2 luglio 2018, 276 persone (277, se contiamo anche Loni che era nella pancia della sua mamma) sono state illegalmente deportate in Libia dalla Marina Militare Italiana. E’ il caso Asso Ventinove (potete andare qui per saperne di più).
Nel 2019 ho ritrovato una cinquantina di vittime, quasi tutte ancora in Libia. Li ho presentati agli avvocati dell’ ASGI, che li hanno assistiti pro bono. Cinque di loro sono riusciti ad arrivare in Europa e hanno fatto causa al governo italiano e alla nave italiana che li ha deportati. L’avvocatura dello Stato italiano ha scritto che era impossibile accertare che queste cinque persone fossero davvero sulla nave che le ha deportate. Io ho cercato prove e trovato tutte le foto (le aveva UNHCR e aveva tentato di occultarle mentendo agli avvocati delle vittime). Nelle foto c’erano persone che conoscevo, ma anche tanta altra gente, che non conoscevo.
Allora ho iniziato una nuova ricerca: ho postato le foto sui social e le ho fatte girare in gruppi di migranti di varie nazionalità.
Così arriviamo ad un giorno di maggio 2021. Apro il PC e trovo un messaggio da uno sconosciuto: è Cristen, un rifugiato sudanese, scrive dalla Tunisia. Ha riconosciuto qualcuno nelle mie foto, un suo compagno di detenzione, sa il nome e il cognome e sa che è ancora in Libia. Sa anche, perché gliel’ha raccontato, che è stato deportato nel luglio 2018 e che in quell’occasione suo fratello è affogato, assieme a tanti altri. Cristen non ha il suo numero di telefono, ma con la foto, il nome e il cognome c’è un mezzo semplice per rintracciarlo: Facebook. Dopo poco sono in contatto con lui.
Malik (è il nome che uso per proteggere la sua identità) parla poco l’inglese, così per comunicare con lui mi aiutano il mio amico Amr, che parla bene l’arabo oppure un amico di Malik che parla l’inglese. Malik mi racconta un sacco di cose, davvero drammatiche, alcune che so, altre che non so perché lui era sul secondo gommone, quello affondato, mentre le persone che ho trovato fino ad ora erano tutte sul primo gommone, che non ha avuto vittime. Di 160, che erano sul gommone di Malik, sono sopravvissuti solo in 15. Suo fratello è affogato, assieme ad altre 145 persone, tra cui c’erano donne e bambini.
Assieme all’amico Niccolò, annotiamo tutto ciò che Malik racconta e facciamo una scheda. Cerchiamo anche prove che accertino che quello nella foto sia lui. Tra le foto che UNHCR ha cercato di occultare agli avvocati delle vittime ce n’è una che ha diffuso nell’area stampa del suo sito come immagine di repertorio. Iscrivendosi all’area stampa è possibile scaricarla ad alta risoluzione. Mi iscrivo. La scarico. Faccio uno zoom su Malik, perso in mezzo ai tanti rifugiati appena deportati, e la vedo: una cicatrice. E’ un segno molto particolare. Scarico anche una foto dal profilo Facebook di Malik. La cicatrice è la stessa. Evvai! Attivisti per i diritti umani: 1, avvocatura dello stato italiano: zero.
L’arresto di Malik
Malik è riuscito a fuggire dal lager dove era stato rinchiuso nel 2018, in seguito alla deportazione operata dalla Asso Ventinove, ma non è mai riuscito a lasciare la Libia. E’ registrato come rifugiato presso UNHCR, ma non è mi stato scelto per l’evacuazione. Nell’autunno 2022, a Tripoli, si unisce al presidio di protesta dei Refugees in Libya. In inverno, con tanti altri compagni e compagne, viene arrestato e rinchiuso nel lager libico di Ain Zara. Da lì riesce a trovare un telefono e a rimanere in contatto con me. In questi mesi vi ho raccontato questo terribile posto grazie a lui.
Nel frattempo l’avvocatessa Giulia Crescini, del progetto Oruka di ASGI, non rimane con le mani in mano. Scrive e riscrive all’UNHCR per chiedere la liberazione di Malik. Ma non ha riceve alcun tipo di risposta. Anche noi attivisti ci muoviamo, con una serie di appelli ed interventi mediatici. Niente sembra avere successo, però non ci arrendiamo. Lo scrivo sempre a Malik: WE DON’T GIVE UP. Tutti assieme proviamo e riproviamo. Sicuramente non lo dimentichiamo. Ciò, ammette Malik, aiuta. Sapere che fuori c’è qualcuno che pensa a te, che lotta per te (anche se perde sempre) aiuta a non soccombere alla disperazione. Nello stesso periodo Mohamed, un ragazzo detenuto ad Ain Zara, viene colto dallo sconforto e una notte si impicca. Era solo, abbandonato. Chissà, se l’avessimo conosciuto, se avessimo lottato anche per lui…
La liberazione
Luglio 2022 (la settimana scorsa): un bel giorno, a sorpresa, lo staff di UNHCR entra nel lager di Ain Zara, preleva Malik e lo evacua in Italia con un volo da Tripoli a Roma gestito dal Governo italiano.
E’ qualcosa che in un mondo normale sarebbe normale. In questo mondo invece odora di miracolo.
Nessuna spiegazione, nessuna comunicazione ai suoi avvocati, nessuna scusa del Governo italiano a Malik.
“Sono in Italia” mi scrive Malik. E lì partono i festeggiamenti, perché è da tre anni che sbattiamo la testa su un muro molto duro chiedendo l’evacuazione delle vittime del respingimento Asso Ventinove e finalmente una di loro è stata evacuata.
Le avvocatesse di ASGI che seguono il caso Asso Ventinove
Sono Giulia Crescini e Diletta Agresta. Non solo avvocati, ma anche persone eccezionali. Festeggiano la liberazione di Malik, che in questi mesi bui è stato sempre nei loro pensieri.
Chiedo una dichiarazione a Giulia Crescini, in quanto avvocata di Malik. Eccola:
“Malik era una vittima del respingimento Asso Ventinove, quindi di un respingimento effettuato con una nave italiana, della società armatrice Augusta Offshore, con la complicità e il coordinamento delle autorità italiane. Malik avrebbe dovuto essere accolto in Italia invece che respinto in Libia. Finalmente oggi ciò è avvenuto”.
“Nel carcere di Ain Zara” spiega Giulia Crescini “Malik si trovava in una situazione di estremo pericolo perché era una vittima di questo respingimento. Purtroppo i meccanismi di evacuazione dai centri di detenzione libici non sono dei meccanismi certi, non c’è un modo unico e definito per fare la richiesta e nei casi di rigetto non c’è un modo per fare appello”.
“La detenzione” ricorda “è ormai sistemica alla situazione dei migranti in Libia ed è una conseguenza naturale della politica di blocco”.
Conclusione (da leggere attentamente)
Chi lotta contro le ingiustizie (qualche volta) vince. Le (poche) vittorie vanno raccontate e celebrate, devono essere propellente per le nostre lotte future, soprattutto nei momenti bui, soprattutto quando perdiamo. Io questo l’ho imparato e ne faccio tesoro.
Mi piace vincere. Ho passato i primi due anni della mia attività sulla rotta libica immersa in una palude di sconfitte. Non sono affogata. Ho imparato anche a nuotare, piuttosto bene. Nell’ultimo anno la mia banda scalcinata di attivisti per i diritti umani ha collezionato una serie di vittorie sensazionali. Festeggiarle è vitale. Raccontarle è vitale. Non tutti lo hanno capito. Peccato. Ci sono quelli che sono sprofondati nelle sabbie mobili e hanno mollato, ci sono quelli che ormai fanno parte dell’habitat della palude e quando arriva un raggio di sole non fanno che ripetersi che presto sparirà. Io no. Io mi godo il momento della vittoria. Mi piace vincere.
Dieci giorni fa Malik era nel lager libico di Ain Zara. Oggi Malik è al sicuro in Italia. Tutto ciò è stato possibile grazie ad un meraviglioso lavoro di gruppo che è partito da voi che state leggendo queste mie parole. Eh sì, perché Malik è stato salvato da chi legge questo blog. Anche e soprattutto da voi.
Rinnovo perciò l’appello a partecipare ai gruppi di indagine del collettivo Josi & Loni Project (se volete unirvi, contattatemi), a leggere, a condividere e a supportare le indagini sui casi di respingimento in mare.
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