Tratto casa – Celio Azzurro. Una mattina di pioggia.
Bastano quattro gocce, a Roma, per creare allagamenti, panico e traffico. E’ sempre così e bisogna prenderla con filosofia, lasciare a casa la bicicletta e prepararsi a restare incolonnati ai semafori per parte della mattinata.
Per fortuna c’è lo stereo. Lo accendo e dentro c’è un cd degli Almamegretta.
“Un po’ del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene”.
La canzone finisce e da dietro arriva pronta la domanda:
“Mamma, anche io sono figlia di Annibale”?
Sul suo seggiolino ha uno sguardo preoccupato.
“Si” la tranquillizzo “tutti discendiamo dagli africani, anche tu”.
Il sorrisone che fa rischiara la giornata buia. Nadia è felice di appartenere alla famiglia umana. Quella che comprende “tutti quelli che hanno occhi, naso, bocca e… fronte”. (cit. Nadia, 3 anni)
E dire che la giornata è proprio buia per il genere umano. In una scuola cattolica di Cagliari due bambini con la pelle scura sono stati obbligati a usare un bagno differente da quello dei compagni di classe. I piccoli sono appena arrivati in Italia, non hanno malattie (la Asl ha rilasciato un certificato di sana e robusta costituzione prima del loro arrivo a scuola), eppure i genitori dei compagni hanno chiesto alle suore che gestivano l’istituto di separare i bagni e le suore hanno detto di si.
Sudafrica 1960?
No, Italia 2016.
Il traffico riparte e io e Nadia imbocchiamo la salita di san Gregorio al Celio, scendiamo in fretta dalla macchina e la pioggia si placa. Un raggio di sole ci accompagna lungo il viale che porta su, tra il verde degli alberi e il gracchiare di pappagalli liberi che, come noi, si sono rifugiati nel nostro stesso angolino di civiltà: il Celio Azzurro.
Questa è la nuova scuola di Nadia: CelioAzzurro, un centro didattico interculturale per bambini dai 3 ai 5 anni.
Un scuola colorata, come suggerisce la porta disegnata da Vauro, che ospita ogni anno circa 60 figli di Annibale.
Quest’anno i bambini di Celio Azzurro hanno 25 nazionalità diverse e centomila storie da raccontare. Qui dentro si respira un’aria diversa che nel resto della città. Un giorno ho detto che sembra di stare in una scuola del futuro, di un futuro lontanissimo, anno 3078, in cui l’uomo avrà preso coscienza che la razza umana è una sola e che la diversità culturale è un’opportunità di crescita, non certo un problema.
Lascio Nadia a giocare e non mi va di tornare a casa, non mi va di uscire da qua e rinfilarmi nel passato del 2016, in un’Europa che erige muri, produce bombe e spray anti-immigrati, usa e riusa a sproposito le parole “noi” e “loro”.
Così non ci vado a casa e decido di scrivere questo articolo. Tra i bambini che giocano scovo Massimo Guidotti, attuale presidente del Celio Azzurro, e gli chiedo un parere sul caso di Cagliari.
Dalla scuola del futuro un commento sulla scuola del passato:
“Non è possibile che in un percorso di inclusione sociale la scuola si ponga a cattivo esempio”.
Massimo ha ragione, la scuola di Cagliari ha esaudito la folle razzista richiesta dei genitori di bambini bianchi e ha separato i bagni. Quella stessa scuola che ha accolto i bambini neri, ha poi praticato un vero e proprio apartheid.
L’Italia pratica una politica di accoglienza, ma la pratica molto male.
Il cattivo esempio dato dalle istituzioni e dalla politica contagia i cittadini italiani. La tipica accoglienza mediterranea traballa di fronte a sentimenti come la paura e la rabbia di venire defraudati. I genitori sono la categoria più debole, più intaccata da questo lavaggio del cervello.
La paura di nuove o vecchie malattie portate dal mare gli è stata propinata in tutte le salse. Un terrore immotivato che sfocia, non si sa bene perché, nell’irrazionale soluzione italiana di non far vaccinare i propri figli. La logica sparisce, il cervello si spegne. Follia completa.
Poi c’è la diffusa rabbia per “chi ci ruba il lavoro”, che dilaga a tal punto da estendersi ad altri presunti furti. “Gli immigrati ci rubano i posti negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia”.
“Davvero?” chiedo a Massimo. Dopo i 3 anni di asilo nido comunale completamente WASP frequentato da Nadia i conti non mi tornano.
“No” mi spiega Massimo “anzi, è il contrario”. Il criterio base per scalare la graduatorie di nidi e scuole comunali è il lavoro di entrambi i genitori, impiego full time, regolare e documentato con tanto di codice fiscale e recapiti del datore di lavoro. Condizioni che nell’Italia di oggi mancano alle categorie più deboli. Gli immigrati, specialmente quelli appena arrivati, non hanno certo un lavoro, anzi due, così.
In parole povere se uno dei due genitori è disoccupato i suoi figli finiscono in coda alla graduatoria (ne abbiamo già parlato qui).

Come possiamo liberare il paese da bugie, paura e rabbia e mostrare alla gente che la diversità è una fantastica opportunità di crescita culturale?
In tutta Italia ci sono delle oasi felici, i centri interculturali. Sono associazioni che, come Celio Azzurro, pagano regolari affitti, sono disponibili in qualsiasi momento all’accoglienza, prevengono marginalità sociale e stimolano un’aggregazione vera, non basata sul pietismo ma sul vero scambio culturale.
Il fatto è che i centri interculturali non piacciono alle istituzioni.
Il Comune di Roma ha recentemente emanato la delibera 140, che prevede la riassunzione indiscriminata di tutti gli stabili di sua proprietà e la rimessa a bando di tutti. In poche parole sgomberi.
“Mamma” mi chiede Nadia nel pomeriggio “cos’è una manifestazione?”
Dal Celio Azzurro ci stiamo muovendo tutti verso il Campidoglio. I bambini hanno fatto dei tamburi usando barattoli e bastoni. Le mamme, i papà e i maestri li accompagnano. Un’allegra brigata che ha i colori del mondo. Una rappresentanza dei figli di Annibale.
“E’ una protesta. Oggi protestiamo perché il sindaco ci vuole cacciare da Celio Azzurro”.
“E il sindaco dov’è?” mi chiede Nadia quando arriviamo sotto la statua di Marco Aurelio.
“Lassù” indico io “in quel palazzo”.
“Cacciamola noi”

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