Josi e Seid sono morti dopo la deportazione nei lager libici operata dalla nave italiana Asso Ventinove e ordinata dal Governo italiano.

Questo è un fatto. Ce ne sono anche altri.

I fatti che hanno portato alla morte dei due ragazzi.

Josi e Seid, due richiedenti asilo eritrei, il 2 luglio 2018, tra le ore 2:00 e le 3:20 del mattino, in acque internazionali, salirono sulla nave battente bandiera italiana Asso Ventiinove, appartenente alla Augusta Offshore e comandata da Corrado Pagani. Entrarono quindi in territorio italiano.

Secondo il Codice della Navigazione, articolo 4: “Le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano”.

Dalle navi militari italiane Caio Duilio e Caprera partì l’ordine, rivolto al comandante Corrado Pagani della nave italiana Asso Ventinove, di trasportare a Tripoli Josi, Seid e altre 274 persone, tra cui 54 tra bambini e minori non accompagnati.

I respingimenti collettivi di stranieri alla frontiera sono vietati dalle leggi italiane ed europee, come anche sono vietati i respingimenti di richiedenti asilo e di minori non accompagnati.

Josi e Seid furono sbarcati nel porto di Tripoli la mattina del 2 luglio 2018. Gli avvocati di 5 loro compagni di viaggio hanno legalmente chiesto a UNHCR contezza di questo fatto. UNHCR ha risposto che non aveva tenuto alcun record dell’evento. Io ho scoperto che una prova invece c’era: fotografie, scattate da UNHCR e MAI inviate agli avvocati delle vittime.

Josi e Seid si vedono in questa foto, li abbiamo riconosciuti.

Eccoli in dettaglio. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, aspettavano seduti in terra che N.E., un addetto di UNHCR che pure abbiamo identificato, segnasse i loro nomi su un foglio.

Dopo questa presunto check-in (presunto perché UNHCR non ha mai ammesso di aver raccolto i nomi dei respinti), i ragazzi che vedete in questa foto sono stati caricati su dei pullman e deportati nel lager di Tarek al Mattar, allora famoso perché finanziato dai progetti italiani del Bando Minniti e per le terribili torture che vi avvenivano.

Il 4 settembre 2018 sono stati spostati nel lager di Zintan, “il lager dei ragazzini”, tristemente famoso perché i ragazzini ci morivano. Non veniva fornito loro cibo sufficiente a sopravvivere. Qui Josi morì. Si spense sul pavimento pieno di vermi, dopo giorni di agonia, circondato dall’affetto dei suoi amici, ragazzini come lui che assistettero, impotenti, alla morte di 25 loro compagni, uno dopo l’altro.

Seid sopravvisse un anno a Zintan. Poi venne spostato nel lager di Gharian. Era fortemente denutrito. Si ammalò. Secondo le testimonianze dei suoi amici, Seid chiese assistenza medica a UNHCR, ma non la ottenne. UNHCR lo prese, lo fece salire su un pulmino e lo fece scendere ad un incrocio di Tripoli. Il ragazzo riuscì a raggiungere alcuni suoi amici. Aveva febbre alta e dolori. Dopo poche ore Seid morì. Aveva 19 anni.

Chi ha ucciso Josi e Seid?

Giuridicamente è una cosa che verrà (speriamo) decisa nei tribunali. (Per ora) non ci sono processi penali in atto per questo caso, ma 5 dei respinti hanno intentato una causa civile contro contro il consiglio dei ministri e tre ministeri (retti da Conte, Salvini, Toninelli e Trenta), contro il comandante della nave Asso Ventinove Corrado Pagani e contro la compagnia Augusta Offshore.

Sabato scorso ho fatto la domanda ai giuristi napoletani Danilo Risi e Elena Coccia e a Luca Saltalamacchia di ASGI. Potete ascoltare la risposta al minuto 1:22:00 di questo video:

“La condotta che consiste nel respingimento collettivo è stato l’antecedente causale della condizione che ha prodotto la morte di Josi e Said” è l’opinione degli avvocati.

“La morte dei ragazzi era una conseguenza prevedibile”.

Tutti, nell’estate 2018, già sapevano cosa avveniva nei lager della Libia.

Immaginate di prendere una persona e trascinarla contro la sua volontà fino allo zoo, rinchiudendola nella gabbia delle tigri. Potrete poi sostenere che ad ucciderla siano state solo le tigri?

Questa stanza qui sotto era Zintan e quei corpi che vedete erano tutte le persone chiuse lì.

Questa era l’unica fonte d’acqua (non potabile) del lager: un rubinetto che gocciola.

Questo è l’inferno. Oggi, ai nostri giorni, l’inferno deve essere cosi, una camera grande e vuota, e noi stanchi di stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può più pensare, è come essere già morti. Qualcuno si siede per terra, il tempo passa goccia a goccia. Non siamo morti“.

Queste parole non le ha scritte un sopravvissuto a Zintan, le ha scritte Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz.

Il treno che portò Primo Levi ad Auschwitz partì dall’Italia, la deportazione fu operata dai fascisti. Nel vagone di Primo Levi c’erano, stipate come animali, centinaia di persone. C’era anche Emilia, una bimba di cinque anni che venne uccisa appena arrivata nel lager di Auschwitz, assieme alla sua mamma .

Chi ha ucciso Emilia?

Chi ha ucciso Josi e Seid?

La Storia, prima o poi, risponderà alle mie domande.

(Triste) aggiornamento: anche Amela è morta.

Amela, ragazzina eritrea deportata illegalmente dall’Italia in Libia, è stata uccisa da un libico per essersi opposta ad uno stupro.

E’ un’altra vittima del caso Asso Ventinove.

Di Amela ci restano le foto – una bella giovane ragazza, gli occhi dolci e malinconici con lo sfondo del muro del lager. Resta il ricordo di lei che vive e vivrà per sempre nel cuore di chi l’ha conosciuta.

Il 2 luglio 2018 Amela chiese asilo al comandante della nave italiana Asso Ventinove. Lui le mentì e la deportò in Libia, per ordine della Marina Militare italiana. Amela venne chiusa nel lager di Triq al Sikka, dove rimase un anno e 5 mesi. UNHCR la escluse dalle evacuazioni. Perché? Le rifugiate sostengono fosse PERCHE’ ERA BELLA E LE GUARDIE VOLEVANO CONTINUARE A STUPRARLA.

A novembre 2019 Amela partecipò alle rivolte delle rifugiate nel lager di Triq al Sikka. Riuscirono ad uscire. Ma – di nuovo – UNHCR le abbandonò.

Come unica possibilità, dopo 3 anni, Amela tentò nuovamente il mare. Aspettò 3 anni, tempo lunghissimo, in cui attese l’evacuazione. Alla fine si rivolse ai trafficanti. Tentarono di stuprarla. Si oppose. La uccisero.

Resta un interrogativo: chi ha consegnato Amela al suo assassino?

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