Il diario della mia capillare ricerca, iniziata con la domanda “Dove sono finite le 101 persone deportate in Libia dalla nave italiana Asso Ventotto?”. Un racconto che passa attraverso le voci di vere persone che, trovate in acque internazionali, sono state caricate su una nave italiana e rispedite nell’inferno dei campi di concentramento libici. Dalla Libia, alla Tunisia, al Niger, all’Italia, le storie delle persone che mi hanno aiutata a svelare un sistema tutto italiano di tristi deportazioni tutt’ora sconosciuto alla stampa.
Prologo: Ricordate il caso della Asso Ventotto?
No?
Io sì. Perché ho la memoria lunga.
Era il 30 luglio 2018. Nel mar Mediterraneo, in acque internazionali, transitava una nave cargo battente bandiera italiana, la Asso Ventotto, appartenente alla compagnia Augusta Offshore, con sede a Napoli e facente capo alla famiglia Cafiero-Mattioli. La nave lavorava per una piattaforma petrolifera gestita dalla Mellitah Oil & Gas, società partecipata al 50 % dalla nostra ENI.
Lo riscrivo: ENI.
Cosa accadde?
Quel giorno, il 30 luglio 2018, in acque internazionali, la Asso Ventotto recuperò 101 persone che erano su un gommone e le portò in Libia.
Potrei riassumervi per filo e per segno tutte le diatribe sulle competenze SAR in acque internazionali, sul fatto che la nave Asso Ventotto avesse o meno contattato questa o quella guardia costiera, su chi avesse telefonato per primo a chi.
Ma non lo farò. Perché, a mio parere, non è questo il punto.
Il punto è:
La Asso Ventotto DEPORTÒ 101 persone in Libia.
Non uso la parola DEPORTARE in senso giuridico, perché non ho alcuna competenza in materia. La uso in quanto verbo transitivo nel dizionario della lingua italiana.

L’uso del verbo DEPORTARE è pienamente corretto per raccontare questa storia. Il suo significato è: “Trasferire in un luogo di prigionia o di pena fuori del proprio paese”. Le 101 persone su Asso Ventotto non erano cittadini libici. La italiana nave le portò in Libia (ovvero fuori dal loro paese) contro la loro volontà e lì vennero recluse in un luogo di prigionia. Quindi vennero “deportate in Libia”, non “riportate in Libia”.
Ora che ci siamo messi a posto con la lingua italiana, possiamo chiederci se la legge italiana consenta a una nave di deportare delle persone. E’ in ballo la legge italiana perché quando qualcuno sale su una nave battente bandiera italiana, entra in territorio italiano ed è soggetto alle leggi italiane: è come se si ritrovasse magicamente sulla scalinata di Piazza di Spagna.
Forse non molti lo ricordano, ma la questione è stata già affrontata e risolta nei tribunali internazionali con la sentenza del caso Hirsi, uscita nel 2012. Per il caso Hirsi (deportazione illegale avvenuta nel 2009) il governo italiano fu condannato. Aveva violato il principio di non respingimento previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.
Ma torniamo alla Asso Ventotto e al 30 luglio 2018.
Il 1 e il 2 agosto 2018 tutti i giornali italiani si occuparono della vicenda. La compagnia Augusta Offshore emanò un comunicato in cui dichiarava di aver ricevuto ordini da una motovedetta libica (contraddicendo quanto ascoltato alla radio dalla nave Open Arms e da Fratoianni, ovvero ordini dati dal capo della piattaforma della Melitah). Poi, nessuno scrisse più nulla, ad esclusione della bella notizia, data qualche giorno più tardi, che l’avvocato Danilo Risi, assieme ad un gruppo di giuristi e personalità italiane, aveva presentato un esposto alla Procura di Napoli denunciando il fatto. La settimana successiva ci fu il caso Diciotti e da allora tutti i giornali parlarono di quello e sono di quello.
Tutti dimenticarono Asso Ventotto. Tutti dimenticarono quelle 101 persone senza nome.
Io no. Non potevo. Quelle persone avevano subito un’ingiustizia troppo grande e, in quanto cittadina italiana, mi sentivo responsabile.
Erano in 101, comprese 5 donne incinte e 5 bambini. Anime in fuga dall’orrore e nell’orrore ricacciate crudelmente. Mi chiedevo “I cinque bambini saranno nati?” Sarebbero dovuti venire al mondo in un ospedale italiano, al sicuro, al pulito. Cercavo di immaginare dove avessero aperto gli occhi per la prima volta, in che razza di mondo. Periodicamente controllavo se sui giornali vi fossero novità sul caso Asso Ventotto. Nessuna. Trovavo solo i miei tweet. Provavo sconforto e rabbia.
Così, un giorno, all’inizio di marzo 2019, ho detto: “Basta, adesso li cerco io”.
E ho iniziato a cercare.
Questo è il diario della mia ricerca dei deportati dalla Asso Ventotto.
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