Lo storico primo soccorso effettuato dalla Mare Jonio – unica nave delle ONG che allora batteva bandiera italiana – scatenò un intricato caso politico. L’allora ministro dell’interno Matteo Salvini dichiarò (informalmente) la chiusura delle acque territoriali per non far sbarcare la Mare Jonio. La nave sbarcò lo stesso, lo staff di Mediterranea venne incriminato ma l’inchiesta venne poi archiviata perché non era stato commesso alcun reato. Inoltre si scoprì che la Guardia Costiera italiana aveva avvisato i libici chiedendo di catturare i naufraghi e respingerli in Libia.
Ricostruzione dei fatti
Il 18 marzo 2019 la Mare Jonio soccorse, a 42 miglia dalle coste libiche, cioè in acque internazionali, 49 persone che si trovavano da quasi 2 giorni a bordo di un gommone azzurro in avaria, che imbarcava acqua. 15 dei naufraghi erano minori.
La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ONG Sea Watch.
Mare Jonio si diresse verso la posizione segnalata e, dopo aver informato la centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, effettuò il soccorso.
Verso la fine del soccorso sopraggiunse la motovedetta libica Ras El Jadir 648, ma era oramai tardi e la Mare Jonio riuscì a mettere in salvo i naufraghi.
Tra i salvati c’era un ragazzo che racconto: “Mi chiamo Bakary, ho 25 anni e vengo dal Gambia. Sono stato torturato e venduto come schiavo in Libia. La mia famiglia ha pagato i trafficanti per la traversata. Quattro volte sono stato riportato nei centri di detenzione libici. Solo al quinto tentativo la nave italiana è riuscita a salvarmi”.
Dopo il salvataggio, la Mare Jonio si diresse rapidamente verso Lampedusa, ovvero verso il porto sicuro più vicino rispetto alla zona in cui era stato effettuato il soccorso. Era in arrivo una forte perturbazione. La nave chiese formalmente all’Italia, suo stato di bandiera, l’indicazione di un porto di sbarco. Ma l’indicazione non arrivò.
Tutt’altro! L’allora ministro dell’interno Matteo Salvini dichiarò (informalmente) la chiusura delle acque territoriali per non far sbarcare la Mare Jonio. La Guardia di Finanza via radio intimò alla Mare Jonio di spegnere i motori e di fermarsi. Il comandante Pietro Marrone non obbedì: c’era un mare forza 7 con onde superiori ai due metri e mezzo e non potevano restare in mare. Il capomissione Luca Casarini avvisò le autorità italiane che per mettere la nave in sicurezza dovevano assolutamente riparare sotto costa a Lampedusa e così fecero, entrando nelle acque territoriali italiane nonostante il divieto (verbale, non formalizzato) delle autorità italiane.
La sera successiva, 19 marzo, la nave riuscì a sbarcare a Lampedusa. Ad attenderla al porto però c’erano il sequestro probatorio della nave e l’incriminazione del comandante Pietro Marrone e del capomissione Luca Casarini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e “mancato rispetto di un ordine dato da una nave militare”.
L’inchiesta giudiziaria fu archiviata anni dopo, a dicembre 2020, perché, scrissero i magistrati, non era previsto da alcuna norma che una nave battente bandiera italiana dovesse avere una preventiva “autorizzazione” per fare ingresso nelle acque territoriali italiane.
I retroscena del soccorso: i libici erano stati chiamati dall’Italia
Nel marzo del 2019 Matteo Salvini era ministro dell’Interno e Matteo Piantedosi era il suo capo di gabinetto.
Si scoprì che la Guardia Costiera italiana aveva avvisato i libici chiedendo di catturare i naufraghi e respingerli in Libia.
Il 16 aprile 2019 Mediterranea diffuse le registrazioni di alcune telefonate intercorse tra il 18 e il 19 marzo, tra il comando generale delle capitanerie di porto – sala operativa – di Roma (IMRCC), la nave militare italiana Capri, di stanza a Tripoli, impegnata nella missione bilaterale tra Italia e Libia denominata “Nauras” (supporto logistico e manutentivo), e la cosiddetta “guardia costiera libica”. FILE ALLEGATO A QUESTO DOCUMENTO.
Le registrazioni dimostravano inequivocabilmente come l’Italia avesse cercato di organizzare un respingimento di stranieri dalle acque internazionali alla Libia – che è vietato dalle leggi italiane.
La Repubblica pubblicò le registrazioni audio con orario e data delle telefonate.
Il giornalista Nello Scavo, sul quotidiano Avveniire, ricostruì tutto in un articolo:
Il gommone in avaria era stato individuato da Moonbird, l’aereo dell’Ong Sea Watch, che ne aveva dato notizia alle autorità marittime.
Alle 13.25 del 18 marzo partì una telefonata da MRCC Roma all’ufficiale di servizio a Tripoli, che però non parlava inglese. Ne nacque una conversazione tragicomica.
Roma voleva che la Libia intervenisse per catturare le persone sul gommone e fece di tutto per ottenerlo. Dopo minuti persi a cercare di capirsi, la Guardia costiera italiana chiamò un interprete che parlava arabo.
Alle 13,28 MRCC Roma chiamò la nave militare italiana Capri, ancorata nel porto di Tripoli. Roma chiese se a bordo della Capri vi fosse “l’ufficiale libico”. Dalla plancia risposero che stava arrivando (lo chiamavano Mustapha), come se fosse del tutto normale avere un ufficiale libico su una nave militare italiana.
Alle 13,43 dalla Capri assicurarono a MRCC Roma che i libici avrebbero gestito l’evento ma che ancora non c’era una formale assunzione di responsabilità da parte loro.
Alle 14.02 la nave Capri rassicurò Roma: l’ufficiale libico Mustapha stava per firmare l’assunzione di coordinamento e per spedirla via fax attraverso la nave italiana.
Alle 14.31 MRCC informò la nave Mare Jonio che «alle h. 13.00 Zulu, 14.00 italiane, JRCC Tripoli aveva assunto il coordinamento dell’evento” e annuncio che la motovedetta libica Ras El Jadir stava arrivando. «In nome e per conto dell’autorità libica, ci chiede di riferire a tutte le navi in area di mantenersi a una distanza di sicurezza di 8 miglia per evitare che, qualora avvistati dai migranti, possano generarsi situazioni di pericolo per gli stessi». «Questo – scandì il guardiacoste italiano – è quello che ci chiedono e io testualmente ve lo riporto».
Ma la nave Mare Jonio non obbedì all’ordine di tenersi a distanza, fu più celere e salvò le persone.
La mafia libica si arrabbiò molto
La missione 4 di Mediterranea Saving Humans
dal 16 al 20 marzo 2019, è la pima missione di salvataggio dopo 3 precedenti missioni di sola osservazione.
Il comandante era Pietro Marrone e il capomissione Luca Casarini.
La nave Mare Jonio partì il 16 marzo dal porto di Palermo. Il 18 marzo entrò in SAR libica e soccorse un gommone con a bordo 49 persone. Durante il soccorso sopraggiunse la motovedetta libica Ras El Jadir 648, chiamata dal comando della Guardia Costiera italiana per catturare le persone e respingerle in Libia, ma la Mare Jonio fu più rapida a portare a bordo i naufraghi.
Dopo il salvataggio, la Mare Jonio fece rotta per Lampedusa ma l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini dichiarò (informalmente) la chiusura delle acque territoriali per non farla sbarcare. Ne nacque un caso politico. La Mare Jonio ricevette dalla Guardia di Finanza l’ordine di fermare i motori e di non entrare in acque italiane. Il comandante Marrone disobbedì all’ordine perché c’era una tempesta in arrivo. La sera successiva, 19 marzo, la nave riuscì a sbarcare a Lampedusa. Ad attenderla al porto però c’erano il sequestro probatorio della nave e l’incriminazione di comandante e capomissione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e “mancato rispetto di un ordine dato da una nave militare”.
L’inchiesta giudiziaria fu archiviata a dicembre 2020 perché, scrissero i magistrati, non era previsto da alcuna norma che una nave battente bandiera italiana dovesse avere una preventiva “autorizzazione” per fare ingresso nelle acque territoriali.
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