Tu che vivi nascosta. Da quella terribile mattina. Quando il vento freddo che ti sferzava il viso assieme ti ha suggerito che se correvi abbastanza veloce potevi riuscire a sopravvivere. Quando il tuo pensiero era già arrivato mille passi avanti, alla scuola elementare delle tue bambine.
Tu che hai lasciato la tua casa all’istante e senza guardarti indietro.
Tu che cercavi un posto dove non ti avrebbe mai trovata e hai pensato di scavare nelle stanze segrete dei ricordi di un’altra vita. Hai pensato bene.
Tu che guidavi ringraziando il cielo che le bambine sul sedile posteriore non potessero vederti gli occhi mentre sceglievi un modo decente o una scusa plausibile o una verità edulcorata o un’amabile bugia per annunciare che sareste andate a dormire da una tua compagna di scuola che non vedevi da anni e che ora gestiva un agriturismo.
Tu che le hai messe a letto e sei rimasta a vegliarle tutta la notte.
Tu che solo all’alba hai avuto il coraggio di avvicinarti alle finestre e alzare lo sguardo al cielo plumbeo per scovare il sole che veniva su dalla bruma. La tua prima alba da libera.
Tu che tra oche e galline ti sei sentita al sicuro e hai riso quando la tua bimba più piccola si è nascosta dietro la tua gonna per sfuggire ad un grosso cappone.
Tu che dovevi ricostruirti l’intero futuro.
Tu che alla Polizia non hai saputo rispondere alla domanda “Signora, l’arma era registrata? Suo marito ha un porto d’armi?”. Non avevi mai visto una pistola in vita tua, fino a quella nella mano di lui: la canna puntata verso di te, nera propaggine del suo odio e della sua follia.
Tu che hai guardato gli agenti e nella tua ingenuità hai mormorato: “Potete dirmelo voi se ce l’ha?”
Tu che hai atteso quegli interminabili secondi in cui si scambiavano sguardi tra loro e cincischiavano i fogli che avevano tra le dita decidendo mutamente chi di loro ti avrebbe risposto
NO
Tu che ti sei sentita protetta dallo Stato quando hai potuto richiedere un provvedimento restrittivo nei confronti del tuo ex marito e quando la Polizia è andata in forze a perquisire la casa.
Tu che hai avuto un palpito di delusione quando gli agenti non hanno trovato la pistola.
Tu che hai presentato alle bambine quella gentile assistente sociale come un’amica della mamma alla quale potevano raccontare liberamente tutto ciò che era accaduto a casa.
Tu che hai bagnato di lacrime la spalla dell’assistente sociale quando ti ha rivelato che il padre aveva consigliato alle tue figlie di regalarti per Natale una sedia a rotelle perché ti sarebbe servita dopo il “regalo” fatto da lui.
Tu che hai vissuto gli ultimi mesi e vivi ancora oggi nell’attesa di quel provvedimento restrittivo che non arriva perché la giustizia è lenta.
Tu che ti senti abbandonata dal tuo Stato.
In un limbo.
Fatto di carte e burocrazia che non ti risponde.
Tu.
Tu che non puoi vivere in un posto che lui conosca.
Tu che sei fuggita con i vestiti che avevi addosso.
Tu che non puoi cambiare residenza perché lui stampando uno Stato di Famiglia la scoprirebbe.
Tu che non puoi mandare le bambine a scuola perché non c’è nulla che impedisca al padre di andarle a prendere.
Tu.
Tu che non molli.
Tu che dopo aver visto quel sole da libera e viva sei ben intenzionata a vederlo tutti i giorni e a farlo vedere alle tue figlie.
Tu che riemergi dal nulla. Che rinasci e fai rinascere.
Tu che hai un padre che è due volte padre perché è anche nonno e le bambine dicono che è addirittura magico perché sa aggiustare tutto, dal tetto agli elettrodomestici ai giocattoli. E quando non riesce ad aggiustare le cose le ricostruisce più belle di prima. E quando ti viene a prendere all’agriturismo ha già abbandonato la casa in cui viveva da vent’anni e ne ha già affittata una nuova in un’altra città e i mobili sono tutti già lì e il frigo è pieno e in camera delle bambine c’è una casetta per le bambole e nel giardino coperto di neve c’è una doppia altalena.
Magico.
Tu che trovi un nuovo lavoro, tu che riesci a infilare lo stesso le tue figlie in una scuola che non potrebbero frequentare legittimamente perché non hanno un nullaosta firmato dall’uomo da cui state scappando. Tu che devi cambiare tutto, dal medico al ristorante preferito. Tu che non hai che un paio di scarpe e non te ne puoi ricomprare altre in quel magazzino in cui andavi da dieci anni.
Tu che hai passato una settimana in giro per negozi di giocattoli per ricomprare il gatto Matisse della tua piccolina. Tu che hai pianto di gioia quando lo hai ritrovato. Tu che hai passato una notte intera a strappargli via tutti i baffi come aveva fatto lei da piccola. Tu che glielo hai dato come primo regalo tra il fumo delle sue sei candeline. Tu che sai che non ti dirà mai che ha capito che non è lo stesso pelouche.
Tu che cucini e festeggi e giochi e racconti favole. Tu che sorridi e speri.
Tu che di notte togli la suoneria al cellulare e la mattina ci trovi messaggi tutti uguali: “Non ti darò pace, né di giorno né di notte”.
Tu che stai sopravvivendo con le tue sole forze, in un mondo segreto, abbandonata dallo Stato.
Tu che hai perso le cose che avevi: vestiti, scarpe, giocattoli, gioielli, libri. Ricordi.
Tu.
Tu che dopo la festa di compleanno metti a letto le bambine. La piccola si infila sotto le coperte con il nuovo gatto Matisse. La grande ti guarda.
“Mamma, Papà avrà venduto anche la catenina del mio battesimo?”.
Tu non lo sai.
Ma sai una cosa. Un segreto. Abbassi la voce, fino a un sussurro.
“Bambine, la cosa più preziosa sono riuscita a portarla via…”.
“Davvero? Cosa Mamma? Cosa?”.
Tu che le prendi tra le braccia, una a destra e una a sinistra. Le stringi a te, senti le loro piccole gote calde sulle tue. Senti sulla tua pelle le loro boccucce prima incresparsi e poi distendersi in un largo beato sorriso.
Sarita 30-01-2017
Questo racconto è dedicato a te che me lo hai ispirato, che mi hai aperto le porte della tua vita segreta e della tua storia.
Ed è dedicato anche a tutte le tue sorelle, le tante tantissime donne che oggi vivono nascoste, protette unicamente dalla loro forza.
Questa storia continua (leggi il resto)
Questo blog ha bisogno di aiuto, scopri perchè. Qui sotto trovi il link alla donazione con PayPal o carta. Sappi che il blog farà fruttare parecchio ogni euro che arriverà e ti renderà fiero di averlo donato.
Questa storia non è (ancora) sui giornali e non è un caso singolo: ci sono moltissime altre donne che stanno vivendo nascoste perchè la giustizia è lenta.
Qualche volta – purtroppo – vengono trovate.
E’ il caso di Denise. Denunciò uno stalker ai carabinieri. Dopo qualche settimane lo stalker chiese e OTTENNE il porto d’armi. Uccise Denise a colpi di pistola.
Ne ho parlato qui
Tu che oggi non hai potuto votare perché sapevi che lui ti avrebbe aspettato tutto il giorno davanti al seggio.
Lo Stato che non ti protegge ti ha negato anche questo diritto.
L’ho detto tante volte, e lo ripeto: vorrei non leggerne più storie così, storie che ti riempiono l’anima di pena come un contenitore che trabocca, che non riesce a contenerla. Come sappiamo essere meschini e vendicativi noi esseri umani, e noi uomini in particolare. E tutto potrebbe finire in una bolla di sapone: basterebbe ascoltare quella voce interiore: “Cosa stai facendo? Fermati! Spiegale cosa senti nel cuore! Guardati allo specchio e rifletti. Riavvolgi quel maledetto nastro!”
Ma siamo così pieni di orgoglio che quel sentimento fagocita tutti gli altri.
Eppure ci sono i bambini: solo il fatto che esistano e ci guardano dovrebbe fermarci.
E io vorrei poter non scriverne più di storie così. Di storie che ti si infilano dentro e non escono più. Vorrei poter dormire serena pensando a questa donna e queste bambine sotto la protezione dello Stato.
E invece no.
Non c’è nessuno che protegga questa donna e queste bambine, nessuno.
Mi sveglio una mattina e scopro che un uomo le ha trovate.
Tremo.
Leggo meglio e scopro che è stato a Latina.
Non è questa donna, non sono queste bambine.
Ma è questa storia, la stessa storia.
Ore prima degli altri, mentre tutta Italia supplica l’uomo di lasciar andare le bambine, io so già che sono morte.
Lo so perché la storia la conosco, ho già scritto quella di altre donne, quella di altri bambini, Cristian, Andrea, Federico, tanti altri bambini.
Posso dirti come sono questi uomini e cosa troverai scritto sulle loro pagine Facebook.
Posso dirti che non è un raptus ma pianificano tutto.
Io che non sono nessuno. Io che non ho studiato psicologia. Io che sono solo una che racconta storie.
Assistenti sociali. Gente talmente cieca da non vedere una pistola puntata davanti al loro naso e rischiare annche loro scioccamente la vita.
Perché così ciechi?
Si fa sera e mentre lo Stato piange lacrime di coccodrillo sui cadaveri delle due bimbe di Latina io ti scrivo.
Come stai? Oggi ti ho pensata per tutto il giorno.
Tu stai bene.
Grazie al cielo stai bene. No… non grazie al cielo, grazie a te stessa.