L’orrore. E’ morto il lavoratore Satnam Singh, abbandonato con un braccio amputato in un incidente sul lavoro. Indagato il datore Antonello Lovato.

Mercoledì 19 giugno 2024. All’ospedale san Camillo di Roma muore Satnam Singh, lavoratore agricolo trentunenne di nazionalità indiana e origine sikh, ricoverato lunedì in condizioni disperate dopo un terribile incidente sul lavoro in cui ha perso un braccio.

L’ennesimo incidente sul lavoro in un paese che lascia morire i suoi lavoratori.

Sì, ma non solo.

Satnam Singh era un immigrato irregolare, privo di permesso di soggiorno. Lo avrebbe voluto, ma non lo aveva. Sua moglie si trova nella stessa condizione.

In Italia per lavorare serve il permesso di soggiorno ma a tantissime persone non viene concesso e lavorano in nero, il che vuol dire senza contratto, ferie, malattia, maternità, diritti e con la paga e l’orario che decide il datore di lavoro.

Satnam e sua moglie lavoravano così, “in nero”. Erano obbligati a lavorare così, non avevano altra scelta.

Il loro datore di lavoro non era invece obbligato a prendere braccianti in nero. Lo ha scelto.

Satnam e sua moglie lavoravano in nero per l’Azienda Agricola Lovato Antonello, che ha campi di angurie e meloni in strada del Passo 31, a Borgo Santa Maria, cap 04100, Latina. (Fonte). La paga era 4/5 euro l’ora (fonte).

Satnam Singh

Non è una zona così remota, stiamo parlando di un’area abitata, tra Nettuno e Latina, a due passi da Torre Astura.

Satnam Singh

Secondo questo sito internet l’azienda agricola ha un solo dipendente e secondo questo altro ne ha 5. Quindi non so dirvi quante persone ci lavorino regolarmente.

L’incidente sul lavoro

Nell’azienda agricola ci sono serre e campi. E’ proprio qui che lunedì un macchinario ha tranciato di netto il braccio di Satnam, provocandogli anche fratture alle gambe. Erano presenti sua moglie, che non parla italiano, il titolare dell’azienda Antonello Lovato e altri lavoratori, non si sa quanti e se regolari.

A quel punto ciò che andava fatto (cioè chiamare immediatamente un’ambulanza) non è stato fatto e il titolare dell’azienda, l’imprenditore Antonello Lovato, ha caricato o fatto caricare Satnam su un pulmino assieme al braccio, che è stato riposto, non si sa da chi, in una cassetta di plastica dii quelle utilizzate per contenere la frutta. Sul veicolo oltre Lovato è salita anche la moglie di Satnam, che pensava stessero andando in ospedale. Ma no, non stavano andando in ospedale.

Il sequestro dei telefoni per impedire di chiamare i soccorsi

Sony, la moglie di Satnam, ha raccontato a La Repubblica:

«Ho visto l’incidente, ho implorato il padrone di portarlo in ospedale ma lui doveva salvare la sua azienda agricola. Ha messo davanti a tutto la sua azienda agricola. Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messo sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi».

Accuse molto gravi che potrebbero aggiungere il sequestro di persona alla lunga lista di reati per cui è indagato Lovato.

L’abbandono

Il lavoratore Satnam Singh, il suo braccio e la moglie sono stati scaricati al lato di una strada di Cisterna di Latina, dove abitavano. L’imprenditore Antonello Lovato li ha abbandonati lì.

Un collega di lavoro di Satnam Singh lo ha aiutato ed ha telefonato a Hardeep Kaur, la segretaria della Federazione Lavoratori AgroIndustria (Flai Cgil). Le ha mandato anche la foto del braccio, ancora riposto nella cassetta di frutta.

Fanpage ha intervistato Hardeep Kaur, che ha raccontato in video i momenti drammatici che sono seguiti, fino all’arrivo dell’ambulanza e di un elicottero di soccorso che ha portato Satnam Singh all’ospedale san Camillo di Roma. Ma era troppo tardi.

Tanto tempo perso (si stima 90 minuti senza chiamare i soccorsi!), tanto sangue versato e una domanda: perché?

Il datore di lavoro indagato

Alla domanda dovrà rispondere l’imprenditore Antonello Lovato, che attualmente è indagato dalla Procura della Repubblica di Latina per omissione di soccorso e omicidio colposo (fonte).

Suo padre, Renzo Lovato, ha rilasciato questa intervista al TG1, che sui social viene criticato per averla mandata in onda.

Secondo un quotidiano locale, Antonello Lovato avrebbe spiegato ai carabinieri di avere avuto paura dal momento che il suo dipendente lavorava in nero e non aveva un permesso regolare di soggiorno. Cosa che legalmente non giustifica, casomai aggrava perché farebbe ipotizzare un reato compiuto per nasconderne un altro. Inoltre il comportamento di Lovato (il sequestro dei telefoni per impedire di chiamare i soccorsi, l’organizzazione del pulmino per portare il ferito fuori dall’azienda…) è sembrato lucido e non tipico di una persona atterrita. Ma di questo si occuperanno la Procura e l’indagato, che è difeso dagli avvocati Stefano Perotti e Valerio Righi.

Ciò di cui mi voglio occupare è altro.

Lo sfruttamento del lavoro degli immigrati irregolari nella provincia di Latina e il fascismo agrario

Latina, Littoria, città di tradizione fascista – è più o meno l’unica tradizione, dato che la città è stata costruita dal nulla e pure con un pessimo gusto architettonico – immersa nei campi strappati con italiche braccia alle paludi pontine e poi spacciati per vittoria militare – l’unica, e manco conta.

Proprio qui. Non a caso, qui.

Leggendo i giornaletti locali ci si accorge che la cultura dello sfruttamento razzista ha impregnato fin le penne di chi scrive sui suddetti giornali.

“La vittima era stata assunta in nero” scrive LatinaTu. In questo ossimoro sta tutta la questione, la distorsione di un’italietta di imprenditori che va a passeggio sui cadaveri canticchiando e senza guardare mai in basso.

“Aveva le lacrime agli occhi”, “era sotto choc”, “non ha capito più nulla” e (tante) altre frasi del genere utilizza LatinaOggi per giustificare l’imprenditore e aggiunge che, beh, dopotutto è stato il lavoratore a voler usare il macchinario, come a suggerire la logica del “se l’è cercata”.

Si stima che nell’agro pontino vivano e lavorino circa 30 mila sikh, la maggior parte, come Satnam Singh e sua moglie, senza alcuna tutela e diritto. Non è un mistero, non lavorano nelle grotte ma alla luce del sole, su strade percorse dalla gente che va al mare al Circeo. Le leggi che ostacolano la regolarizzazione di questi lavoratori favoriscono imprenditori senza scrupoli che scelgono di utilizzare manodopera non regolare perché per loro è più conveniente economicamente.

Recentissima è l’interrogazione parlamentare sul “fascismo agrario”, che denuncia lo sfruttamento e le umiliazioni imposte dai datori di lavoro fascisti ai braccianti nell’agro pontino. Un’inchiesta giornalistica di Marco Omizzolo e Sandro Ruotolo ha portato alla luce storie terribili di braccianti obbligati a fare il saluto romano dinanzi all’effige o busto del dittatore Mussolini e minacciati con le armi.

Bonificare le paludi pontine è stato facile, la sfida è bonificare l’italica cultura dello sfruttamento degli ultimi che vi si è radicata.

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