Perché li chiamiamo ancora i “fatti” di Avola?

FATTI è una parola che non rende l’idea. E’ generica, incolore. E’ innocua.

Le raffiche di mitragliatore Beretta sparate dalla Polizia su un corteo di braccianti disarmati che protestavano contro il caporalato, non sono fatti, sono un eccidio, sono una strage.

In terra rimasero due lavoratori morti, 48 feriti e almeno due chilogrammi di bossoli di pistola e mitragliatore.

Era il 2 dicembre 1968.

***

Il mio racconto, questo sotto, è ambientato pochi mesi dopo. Era già il 1969, ma il ’68 non era ancora finito.

 

Era notte e il telefono squillava:

– Centotredici.

– Buonasera. Telefono per segnalare un ubriaco sotto le mie finestre.

– Un ubriaco?

– Sì.

– Signora, come sa che è ubriaco?

– Canta. Da oltre un’ora.

– Cosa canta?

– Che le importa cosa canta? Sono le tre di notte e canta. Questo le dovrebbe bastare.

– Ha provato a chiedergli di smettere?

– E certo che ci ho provato! E’ un’ora che gli urliamo di piantarla. Quello piglia e continua. Canta sempre la stessa canzone.

COMPAGNI, DAI CAMPI E DALLE OFFICINE

PRENDETE LA FALCE, PORTATE IL MARTELLO

– Lo sente?

SCENDETE GIÙ IN PIAZZA, PICCHIATE CON QUELLO

SCENDETE GIÙ IN PIAZZA, AFFOSSATE IL SISTEMA.

 

***

Qualche ora dopo era la radio a gracchiare. Uno scatolotto Telefunken poggiato sul cruscotto di una Giulietta verde marcio:

– Che succede?

– Abbiamo un ubriaco che resiste all’arresto. Che dobbiamo fare?

– Come, resiste?

– Gli abbiamo chiesto i documenti, ma ci ha risposto di no, che resiste.

– Che resiste?

– Sì, ha detto che lui resiste sempre. E poi canta.

– Cosa canta?

– Una strana canzone…

SE IL VENTO FISCHIAVA, ORA FISCHIA PIÙ FORTE

LE IDEE DI RIVOLTA NON SONO MAI MORTE

– Lo sente, Commissario?

– Non la conosco.

– L’uomo è sospetto. Forse è un barbone. Ha anche una cosa strana legata al collo.

– Cos’è?

– Sembrerebbe un proiettile.

– Portatelo qui.

SE C’È CHI LO AFFERMA, SPUTATEGLI ADDOSSO,
LA BANDIERA ROSSA HA GETTATO IN UN FOSSO.

 

Rapporto trasmesso dalla Polizia di Stato all’Ufficio affari riservati, sezione “Sinistra e Stranieri”.

In data odierna il lavoratore portuale, prima ex manovale, prima ex bracciante agricolo, Tonio Genna veniva fermato per sospetta ubriachezza. Sottoposto a controllo personale, al collo del Genna veniva rinvenuto il seguente oggetto trasmesso al Registro Corpi di Reato: “bossolo di mitragliatore Beretta forato e inserito in cordino di cotone. Sul detto bossolo è incisa la lettera T”.

Condotto presso la Questura e interrogato sulla provenienza dell’oggetto, il Genna dichiarava e sottoscriveva:

“Non è mio, è vostro”

e ammetteva di averlo raccolto da terra in località Avola, il giorno 2 dicembre 1968.

Dichiarava e sottoscriveva altresì:

“Questo bossolo me lo tengo appeso al collo, vicino al cuore. Sopra ci ho scritto il mio nome, perché tanto c’era già scritto il mio nome. Ce lo avete scritto voi quando mi avete sparato addosso, quando avete mitragliato una folla di uomini, donne e bambini inermi, quando avete ammazzato due di noi e ne avete feriti quarantotto”.

E poi:

“Non credo di aver creato alcun danno allo Stato sottraendo questo bossolo dalla scena del delitto, perché PRIMO di bossoli sparati dalla celere ne sono stati raccolti altri tre chilogrammi e SECONDO tanto non vi faranno mai un processo”.

E poi ancora:

“Questo che segue lo può scrivere come glielo detto, parola per parola? Dunque: potete massacrarmi di botte in questa stanza, potete bruciare il mio cadavere, potete mettere tutto a tacere e siete bravissimi a farlo, ma io il peso di questo proiettile, su cui avete scritto il mio nome quel giorno che ero andato a manifestare per i miei diritti, me lo voglio portare per sempre al collo. Questo proiettile è mio e me lo riprendo”.

Il Commissario Boccia, intervenuto nel fermo, invitava pacificamente il Genna ad accettare il deposito del reperto e iscriversi nel registro dei testimoni per i fatti di Avola del 2 dicembre 1968.

Il Genna, gentilmente, pregava di scrivere nel rapporto:

“Io c’ero ad Avola mentre cento agenti aprivano il fuoco con pistole e mitragliatrici sui manifestanti. Posso testimoniarlo. Come posso testimoniare anche di essere stato massacrato di botte alla manifestazione di Palermo del 10 luglio del 1968 assieme ai terremotati del Belice, uomini, donne e bambini. Posso testimoniare di aver sentito un poliziotto urlare “Diamogli addosso a queste carogne”. Io c’ero, io c’ero sempre. Ma tanto i processi a quelli come voi non li fanno mai e quelli come me sono solo un nome scritto su un proiettile”.

Dopo questo sfogo, il Genna firmava il verbale e rinunciava a recuperare il bossolo avvertendo che probabilmente ne aveva un altro a casa.

Usciva dalla Questura cantando:

 

MA SE QUESTO È IL PREZZO L’ABBIAMO PAGATO
NESSUNO PIÙ AL MONDO DEVE ESSERE SFRUTTATO.

 


“Contessa” di Paolo Pietrangeli, nel 1968 era una canzone nuova. 50 anni fa si sparava sui lavoratori che protestavano contro il caporalato. Oggi?

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