Mi lamento spesso dello stato della cinematografia indiana, lobotomizzata scientemente dal suo governo tramite le cinecazzate di Bollywood.
L’India è uno di quei paesi dove per raccontare belle storie basta fermarsi pochi minuti ad osservare il fluire della vita. Eppure la sua cinematografia non lo fa. Preferisce ricoprire il suo miliardo di abitanti di bugie, preferisce ignorare sistematicamente la realtà e raccontare i matrimoni e le scazzottate di una borghesia che non esiste. Potremmo definire Bollywood “il cinema dei telefoni bianchi indiano”, tanto per ricordarci che le dittature usano il cinema per la loro propaganda e reprimono ogni tentativo di neorealismo.
E’ per questo che le poche volte che esce un film indiano che racconti un po’ di realtà grido al miracolo, e ricomincio a sperare.
Lunchbox, film del 2013 scritto e diretto dal poco conosciuto Ritesh Batra, è uno di questi. Racconta una storia semplice e lieve che si, è ambientata tra la piccola borghesia di Mumbai, ma è popolata di personaggi e ambienti veri.
Racconta una parte importante della vita quotidiana della grande metropoli di Mumbai, dove ogni mattina 5000 dabbawala, “portatori di cibo”, si occupano di consegnare più di 200.000 pranzi ai lavoratori degli uffici. Li raccolgono nelle case o in tavole calde e li consegnano ancora caldi caricandoli su una lunga struttura in legno e smistandoli ad ogni punto di raccolta.
Gli indiani per esigenze religiose spesso non possono mangiare quello che capita e quindi il loro cibo deve arrivare da posti che conoscono. Ci sono ingredienti vietati. Ma anche la preparazione è importante: per esempio i bramini possono mangiare solo pasti cucinati da altri bramini.
Se passate alla stazione centrale di Mumbai li potete vedere, migliaia di migliaia di contenitori metallici (chiamati “dabba”) che salgono e scendono da treni, autobus, rikshaw e biciclette come in una gigantesca sinfonia diretta da un direttore d’orchestra invisibile. Ognuno di loro arriva magicamente al suo destinatario per essere mangiato. Poi, verso le 2 del pomeriggio, la macchina si rimette in moto e ogni contenitore ritorna al suo posto, alla moglie che l’ha riempito.
L’università di Harvard ha studiato il fenomeno stimando un margine di errore praticamente irrisorio: solo un contenitore ogni 6 milioni di consegne si perde o arriva al destinatario sbagliato.
Questo film racconta di quel caso, di quel lunchbox su 6 milioni.
Lunchbox è un film a basso budget con una sceneggiatura a dir poco perfetta, sia nei dialoghi che nei silenzi.
Merita di essere visto.
Se volete approfondire la questione dei dabbawala di Mumbai vi consiglio di leggere “Nutrire la città”, di Sara Roncaglia.
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