L’ultima ora (Teodora Film, 2018), diretto diretto da Sébastien Marnier, non è un thriller, è una tentata incursione in qualcosa che, sostanzialmente, noi adulti non riusciamo a capire (e a visualizzare!) e che, invece, i ragazzini del movimento Fridays for Future vedono molto chiaramente: la catastrofe ambientale che presto si abbatterà su tutti noi.
NB: questo articolo NON contiene spoiler sul film. Sul futuro del mondo, può darsi.
Il punto di vista narrativo (e visivo!) del film è quello degli adulti.
Per capire un film, spesso basta riguardare la sequenza iniziale. E’ lì che l’autore cinematografico socchiude, o spalanca, la porta della visione per far entrare lo spettatore nel suo mondo.
La prima immagine de L’ultima ora è quella del cielo: afoso, striato, incomprensibile allo spettatore. Lo sta guardando il professor Capadis. Non lo capisce. Apre la finestra. Scopriamo che si trova in un’aula scolastica. Un liceo. Gli studenti sono intenti a scrivere. Il professore li guarda, ad uno ad uno, ma ciò che vede sono solo le loro nuche, perché è dietro di loro. Così, lentamente, come se dormisse, sistema una sedia accanto alla finestra, vi sale e si getta giù.
Il modo in cui nel film gli adulti (e per adulti intendo i personaggi, il regista e lo spettatore) vedono i ragazzini sarà quasi sempre questo: da dietro, da lontano. Non li capiranno, non si immedesimeranno. Mai.
Al liceo arriva un supplente quarantenne, il professor Pierre Hoffman (il bravo Laurent Lafitte), e il film segue il suo punto di vista.

Pierre prova a guardare direttamente i ragazzini, la macchina da presa li inquadra in blocco, con una serie di totali. E i ragazzini guardano lui. Ma non funziona, non li capisce.
Si tratta di una classe di quindici stutenti speciali, plusdotati. Tra di loro ce ne sono sei (due ragazze e quattro ragazzi) ancora più particolari: freddi, ostili. “Quale mestiere vorresti fare?” è la domanda in una scheda creata dal professor Pierre per cercare di conoscerli. Le risposte dei sei: cameriera, cassiera al supermercato, magazziniere, ancora cassiere, operaio agroalimentare, supplente.
Ce l’hanno con lui, come se sapessero in anticipo che non li capirà. Un rapporto impossibile. Pierre decide allora di spiarli da lontano. Ciò che vede, e che vediamo noi con lui, piace sempre meno: gesti autolesionistici, un loro misterioso progetto (ovviamente audio-visivo) …
L’ambientazione de L’ultima ora. La cecità di chi osserva.
L’ultima ora è ambientato in una bucolica cittadina francese: prati, boschi, un laghetto. Ma c’è qualcosa che noi spettatori, noi professori, noi adulti non riusciamo a vedere. C’è un gigantesco elefante rosa nella stanza, in quasi tutte le scene.
Lo vedete?
No?

E’ ancora un problema di visione. Di ciò che vediamo o non vediamo nel mondo che ci circonda.
In una società cieca e sorda, i ragazzini del movimento Fridays for Future ci vedono benissimo. Vedono, capiscono, pre-vedono. Scrutano nell’abisso del futuro. Potete chiamarli pazzi, oppure autistici. Potete (come fa il prfessor Pierre) preoccuparvi per le loro psicopatologie, tentare di salvarli, odiarli, temerli. Potete (nella vita reale) pensare che dovrebbero essere più leggeri, tenerli lontani dai problemi del mondo reale, impedire loro di votare a 16 anni.
Eppure la verità è una sola: i ciechi siamo noi e questi ragazzini hanno ragione. Una terrificante ragione.
Guardate il film, guardate il mondo, e capirete perché.
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