La verità è che Josefa fu abbandonata viva in mare dalle milizie libiche assieme ad un bimbo di 4 anni, poi morto, e al cadavere di una donna. La destra operò una serie di depistaggi per occultare tale verità.

Mentre scrivo queste righe mi accorgo che oggi è il 17 luglio 2024 e sono passati esattamente 6 anni. Ci ho messo forse troppo a ricostruire questo difficile caso. L’ho fatto per il mio progetto di Storia del Mediterraneo Centrale.

Lavorando alla ricostruzione degli eventi mi sono resa conto che il 99% degli articoli presenti in rete, anche quelli di giornali seri, riportano errori. Questo dipende dalla grande confusione che allora c’era sul caso e da una serie di fake news e depistaggi diffusi da politici e giornalisti di destra. Tutto questo, infine fu coperto dalla cappa mefitica della “bufala dello smalto di Josefa” diffusa dalla blogger Francesca Totolo di Casapound.

In questo torrido luglio, per molti versi simile al luglio 2018, dopo due giorni di intenso lavoro, pubblico quindi le risultanze della mia indagine ricostruttiva del caso.

Buona lettura.

La missione 47 di Open Arms

La missione 47 di Open Arms si svolse dal al 13 al 21 luglio 2018 e portò al salvataggio di una sola persona: Josefa.

La missione fu condotta in tandem dalla nave Open Arms e dal veliero Astral. Astral salpò il 13 luglio 2018 dal porto di Barcelona. Il 14 luglio, in mare, si riunì alla nave Open Arms.

A bordo c’erano anche alcune personalità note: la giornalista Annalisa Camilli, il giocatore di basket Marc Gasol, il deputato Erasmo Palazzotto.

La mattina del 17 luglio 2018 i soccorritori di Open Arms trovarono abbandonata in mare, attaccata al relitto di un gommone bianco affondato, Josefa (è un nickname), una donna camerunense. Raccontò ai soccorritori di essere stata abbandonata lì da una motovedetta libica che aveva catturato tutte le persone che erano con lei e affondato il gommone. Accanto a Josefa i soccorritori trovarono anche i cadaveri di un bambino dell’età apparente di 4 anni e di una donna. Josefa venne salvata e portata in Spagna.

La missione 47 terminò con l’approdo a Palma de Mallorca il 21 luglio 2018.

Il contesto politico dell’estate 2018

Quello di Josefa divenne un caso politico in un momento storico delicato: l’estate del 2018.

Il governo italiano Conte I, con Matteo Salvini ministro  dell’Interno, entrato in carica il 1 giugno, aveva raccolto il testimone dai governi precedenti per quanto riguardava il finanziamento delle milizie libiche allo scopo di attuare respingimenti che l’Italia non poteva fare con le proprie navi perché illegali. Ma aveva anche fatto di più agendo illegalmente per respingere persone in Libia.

Due settimane prima, il 2 luglio 2018, il governo Conte I tramite la Marina militare italiana aveva ordinato illegalmente ed in segreto ad una nave battente bandiera italiana, la Asso Ventinove, di deportare 276 persone in Libia. Ciò provocò la morte nei lager libici di almeno 3 persone: il ventenne Josi, morto di fame sul pavimento del lager libico di Zintan, il minorenne Seid, morto per malattia contratta nel lager libico di Gharian e abbandonato da impiegati di UNHCR su un marciapiede, la ventenne Amela, stuprata e uccisa da un libico. Questo oggi è verità processuale (il governo italiano, il comandante e la compagnia di navigazione sono stati condannati a risarcire i primi 5 rifugiati che hanno fatto causa per questo reato).

La ricostruzione degli eventi

  • Il 16 luglio 2018  il mercantile Triades, diretto a Misurata, individua un gommone bianco e dirama un mayday. Ma NON  presta assistenza.
  • Ora di pranzo: la motovedetta Quaminis riceve dal mercantile Triades le coordinate del gommone in fuga dalla Libia  (Fonte: colonnello libico Tofag Scare).
  • Nel pomeriggio del 16 luglio il mercantile Triades riceve risposta dalla marina libica relativamente ai soccorsi in arrivo. Le coordinate sono 34°13.4′ Nord e 13°55.2′ Est.
  • La conversazione tra il mercantile Triades e la guardia costiera libica va avanti per molte ore. I volontari della Open Arms ascoltano la conversazione alla radio e decidono di recarsi sul target. Ma sono lontani.
  • Senza orario: i miliziani libici della motovedetta Quaminis catturano in mare 158 persone incluse 34 donne e 9 bambini e le deportano a Khums. “Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita di una donna e di un bambino dopo aver provato a rianimarli. Ma oltre a loro non c’era nessuno in acqua” testimonia il colonnello Tofag Scare della cosiddetta Guardia Costiera Libica (Fonte ).
    Invece lasciano Josefa, che è ancora viva, e si sospetta che anche il bimbo fosse vivo quando lo hanno abbandonato in mare.
    I libici schedano il caso come operazione SAR 16.07.18.
  • Ore 18:14 UTC (20:14 locali) tramonto
  • Nota: ALTRO RESPINGIMENTO, MA NON ATTINENTE: Ore 20 UTC circa (22 locali) del 16 luglio 2018. Il libici della motovedetta Ras El Jadir 648, sulla quale si trovanola giornalista tedesca Nadja Kriewald, inviata per Rtl e per l’emittente N-tv e un operatore televisivo, catturano in mare 165 persone (tra cui 34 donne e 12 bambini). L’imbarcazione catturata è un gommone bianco. La troupe riprende il recupero del corpo di un bambino, che viene portato a bordo della motovedetta. I libici – come da loro candida allucinante ammissione – gettano sempre in mare i cadaveri dei migranti, ma stavolta non possono farlo perché c’è la troupe televisiva. Alle 21 UTC circa (23 locali): termina il trasbordo dal gommone alla motovedetta 648. I libici affondano il gommone. Nella notte la motovedetta Ras El Jadir sbarca a Tripoli (Fonte: testimonianza di Nadja Kriewald). Anche i libici inizialmente parlano della cattura della Ras El Jadir 648 ma postano foto false (di repertorio) e una data sbagliata.
  • Ore 4;12 UTC (6:12 locali) alba
  • Alle 5:30 UTC (7:30 locali) del 17 luglio 2018. Open Arms e Astral arrivano a coordinate 34°13.4′ Nord e 13°55.2′ Est, a 80 miglia dalle coste libiche, e avvistano un relitto. Vedono un braccio che si alza: è Josefa, una donna del Camerun, ancora viva, attaccata ad una tavola.

Accanto a Josefa ci sono due cadaveri:  un bambino di età stimata tra i 3 e i 5 anni e una donna (probabilmente la madre).

Lo stato del cadavere della donna suggerisce che sia morta da molto, almeno un giorno, mentre il bambino è probabilmente morto soltanto qualche ora prima, si pensa per ipotermia nella notte. Sul corpo della donna ci sono anche segni di bruciature dovute al gasolio mischiato con l’acqua di mare.

Josefa viene salvata. A soccorrere la donna è Javier Figuera, un soccorritore spagnolo di 25 anni “Quando le ho preso le spalle per girarla – dice – ho sperato con tutto il mio cuore che fosse ancora viva. Dopo avermi preso il braccio non smetteva di toccarmi, di aggrapparsi a me”.

Josefa Open Arms
  • A Josefa, sulla Open Arms, viene diagnosticata una grave ipotermia, ma “ha una forza incredibile che l’ha fatta recuperare rapidamente”.
  • La Open Arms, con Josefa a Bordo, si dirige verso la Spagna. Approda a Palma de Mallorca il 21 luglio 2018.

La difficoltà della ricostruzione del caso Josefa

La difficoltà della ricostruzione dipende dalle informazioni certamente false e sbagliate fornite dai libici e da politici di destra come Matteo Salvini e dalla testimonianza fuorviante fornita dalla reporter tedesca Nadja Kriewald, che ha inizialmente tentato di scagionare i libici senza specificare su quale motovedetta fosse imbarcata. Si è quindi faticato a comprendere che la troupe televisiva tedesca era non sulla Quaminis, accusata di omicidio e omissione di soccorso nel caso di Josefa, ma sulla Ras El Jadir, che si trovava da tutt’altra parte. I libici utilizzarono le testimonianze di Nadja Kriewald  a loro favore. Ma Nadja Kriewald  non era certamente sulla Quaminis, era sulla Ras El Jadir 648: si vede il numero della motovedetta, 648, nelle immagini da lei girate. (Fonte video)

Questo equivoco (o depistaggio, nel caso ci sia stato dolo) è rimbalzato su tutti i giornali. Il che rende la maggior parte degli articoli scritti su questo caso del tutto fuorvianti e pieni di errori.

I due casi di respingimento di cui abbiamo notizia sono quindi:

  • Quaminis SAR 16.07.2018 – probabile caso Josefa. Come testimonia il colonnello Tofag Scare della cosiddetta Guardia Costiera Libica, i miliziani libici trovano una donna e un bambino morti e li abbandonano in mare. Catturano 158 persone incluse 34 donne e 9 bambini. Sbarcati a Khums. Le foto postate dai libici potrebbero essere autentiche oppure false.
  • Ras El Jadir 648 SAR 17.07.2018. Erroneamente schedato dai libici come avvenuto il 17 luglio, dalle riprese video della giornalista Nadja Kriewald che era a bordo è dimostrato, inequivocabilmente, che l’evento avvenne alle 20 UTC circa (22 locali) del 16 luglio 2018. Gommone bianco. Cattura avvenuta di notte di 165 persone (tra cui 34 donne e 12 bambini). La troupe tedesca ha filmato il ritrovamento del corpo di un bambino, che è stato portato a bordo. I libici gettano sempre in mare i corpi dei migranti, ma stavolta non hanno potuto farlo a causa della presenza dei giornalisti. Oltre a schedare il caso Ras El Jadir con la data sbagliata, i libici postano una foto falsa.

Il gommone su cui era Josefa è stato probabilmente catturato dalla motovedetta Quaminis, come suggerisce la confessione del colonnello libico Tofag Scare. Di sicuro non è stato attaccato dalla Ras El Jadir 648, il che rende la testimonianza della giornalista Nadja Kriewald del tutto irrilevante.

Le fonti e le testimonianze

Josefa ha detto di essere rimasta in mare per due giorni e due notti. Nella sua ricostruzione si parla anche di ”poliziotti libici” che avrebbero “iniziato a picchiarli”. Racconta di essere scappata dal Camerun perché il marito la picchiava in quanto non poteva avere figli.

Annalisa Camilli, che era a bordo della Open Arms, racconta cosa ha visto. La versione coincide con quella rilasciata dalla Open Arms. https://www.la7.it/in-onda/video/open-arms-la-storia-di-josefa-raccontata-da-annalisa-camilli-24-07-2018-247239

Riccardo Gatti di Open Arms testimonia: “Il 16 luglio c’erano due gommoni in difficoltà a circa 80/84 miglia dalle coste libiche. Il mercantile Triades diceva di essere stato allertato dalla guardia costiera italiana e chiamava la guardia costiera libica per intervenire in soccorso dei gommoni. Le imbarcazioni con i migranti a bordo sembravano partite da Khoms, una città a est di Tripoli. La conversazione tra il mercantile Triades, diretto a Misurata, e la guardia costiera libica è andata avanti per molte ore. I volontari della Open Arms hanno ascoltato la conversazione alla radio. Poi in serata la guardia costiera libica ha detto al mercantile di ripartire perché sarebbero intervenute le motovedette libiche”.

A bordo di Open Arms c’erano anche il giocatore di basket Marc Gasol, il giornalista freelance libico Emag Matoug e il deputato di Liberi e uguali Erasmo Palazzotto.

Sulla motovedetta Ras El Jadir 648 c’erano la giornalista Nadja Kriewald, inviata tedesca per Rtl e per l’emittente N-tv, e un operatore televisivo. I due hanno raccolto documentazione video relativa ad una cattura.  
NOTA: Come abbiamo scritto, la testimonianza di Nadja Kriewald è totalmente irrilevante perché NON era sulla motovedetta che ha attaccato il gommone di Josefa.

La versione della Guardia Costiera libica collega il caso SAR 16.07.2018 Quaminis al naufragio di Josefa. I dati dell’evento secondo i libici sono: 158 persone catturate, tra cui 34 donne e 9 bambini. “Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita di una donna e di un bambino dopo aver provato a rianimarli. Ma oltre a loro non c’era nessuno in acqua” testimonia il colonnello Tofag Scare della cosiddetta Guardia Costiera Libica.

Tofag Scare: “Lunedì 16 luglio all’ora di pranzo abbiamo ricevuto una chiamata dal mercantile spagnolo Triades che ci segnalava un’imbarcazione di migranti in difficoltà tra Khoms e Tripoli e ci siamo mossi per intervenire, ne abbiamo tirati a bordo 165 (NOTA: in realtà 158) , maschi e femmine, tutti. Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita di una donna e un bambino dopo aver provato invano a rianimarli: erano morti e portarli a terra non aveva alcun senso, ma oltre loro non c’era nessun altro in acqua».

Il portavoce delle milizie libiche Robert Brytan (rgowans) pubblica fotografie dei due respingimenti. Ma il report sul caso Ras El Jadir è certamente fuorviante: riporta una foto falsa e dati sbagliati (ad esempio la data del caso).

Non abbiamo invece prove sulla veridicità del report di Robert Brytan (rgowans) sulla Quaminis. Può essere utile l’orario in cui è stato postato (6:03 CAT del 17 luglio)

In seguito Robert Brytan ha postato su Twitter altre testimonianze false, smentite dallo stesso colonnello Tofag Scare della cosiddetta Guardia Costiera Libica che confessò di aver abbandonato in mare i corpi di una donna e un bambino.

NB: i miliziani libici e il loro portavoce Robert Brytan Rgowans sono soliti mentire per occultare i reati da loro compiuti.

Perché la motovedetta Quaminis ha abbandonato Josefa ancora viva?

A questa domanda non è stata data una risposta. I libici, pur ammettendo di aver abbandonato i corpi della donna e del bambino, hanno negato  che vi fosse anche Josefa. Ma Josefa c’era, questo è innegabile. In più, il medico di bordo della Open Arms  che ha fatto la prima ispezione cadaverica sui corpi ritrovati ha riscontrato che lo stato del cadavere della donna suggeriva fosse morta da molto, almeno un giorno, mentre il bambino era probabilmente deceduto soltanto qualche ora prima, si pensa per ipotermia nella notte. Il bimbo era quindi probabilmente ancora vivo quando la motovedetta libica lo ha abbandonato.

Ciò che sappiamo da centinaia di testimonianze è che i miliziani libici non recuperano mai i cadaveri in mare. L’equipaggio della Ras El Jadir 648, donata dall’Italia alla Libia,  ha recuperato il corpo del bambino morto lo stesso giorno soltanto perché la troupe tedesca stava filmando. L’equipaggio della Ras El Jadir è composto da noti criminali e soltanto pochi giorni prima – il 12 luglio 2018 – aveva affondato a colpi di fucile un gommone con tanta gente a bordo.

Una possibilità, quindi, è che Josefa, la donna e il bambino fossero stati considerati già morti dai miliziani. Forse la donna lo era veramente, ma il bambino probabilmente no e Josefa sicuramente no.

Il caso Josefa è un caso politico

Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, scrisse che la storia di Josefa era una “fake news”.

Nel pomeriggio del 18 luglio, nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, Salvini dichiarò anche che «c’era una giornalista tedesca a bordo dell’imbarcazione della guardia costiera libica» ma omise il fatto che la giornalista non si trovava sulla motovedetta accusata di omissione di soccorso e omicidio e che quindi la sua testimonianza fosse del tutto irrilevante.

Il 20 luglio il colonnello Tofag Scare della cosiddetta Guardia Costiera Libica, confessò di aver abbandonato in mare i corpi di una donna e un bambino.

Dopo la confessione dei libici, il deputato di Leu Erasmo Palazzotto chiese a Matteo Salvini di scusarsi “davanti alle agghiaccianti dichiarazioni del comandante della Guardia Costiera Libica”

Il caso di Josefa, con le immagini del corpo di un bambino di 4 anni abbandonato in mare assieme alla sua mamma, e di una donna viva lasciata a morire, imbarazzava terribilmente il governo Conte I, che aveva orientato la sua politica sulla “difesa dei confini”.

La bufala dello smalto di Josefa

La migliore idea avuta dagli influencer di destra fu la creazione di una fake news virale: lo smalto di Josefa.

La blogger di destra Francesca Totolo, legata a Casapound, pubblicò un tweet in cui  tentava di dimostrare che Josefa non era mai stata in acqua perché aveva lo smalto sulle unghie.

La tesi era falsa perché nelle foto del ritrovamento di Josefa si vedeva benissimo che NON aveva alcuno smalto

Josefa. Open Arms.

(Foto di Open Arms)

Tale smalto le fu messo in seguito dalle volontarie di Open Arms quando era già a bordo della nave.

Ma il tweet funzionò e scatenò una polemica di dimensioni nazionali che ottenebrò le menti degli italiani ed oscurò del tutto il senso importante della tragedia avvenuta. Oscurò, soprattutto, il fatto che l’Italia stesse pagando e addestrando dei miliziani libici che compivano impunemente omicidi in mare, anche di donne e bambini.

Dedicato a quel bimbo assassinato in mare dalle milizie libiche e dalle politiche criminali del governo italiano. Un bimbo a cui solo l’intervento della società civile ha potuto dare una sepoltura. Ricordiamo questo bambino. Vi prego.

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