La famiglia nigeriana, con 4 bambini, si trovava in estrema difficoltà. Ora è al sicuro nel SAI di Plataci (CZ). Vi racconto il primo grande successo di un progetto appena partito.
Sì, certo, sono un’utopista…
Poche settimane fa ho lanciato il mio nuovo progetto Benaccoglienza. Quando faccio qualcosa, lo faccio perché ci credo e quindi ci lavoro con estrema passione e dedizione. Soprattutto, lavoro su progetti concreti, possibili… almeno nella mia testa.
Molti mi considerano un’utopista. E hanno ragione. Lo sono. Ma l’utopia, l’ho scritto e riscritto, non è un luogo che non esiste, è un luogo che STO COSTRUENDO, con tanta passione e sudore.
Sto costruendo maglia a maglia la rete di Benaccoglienza, aggiungendo un filo al giorno. Ed ecco che è arrivato già il primo grande successo: una famiglia nigeriana con bambini tolta dalla strada!
Voglio raccontarvi la storia perché sono davvero felice per loro. Felice sì, stupita no, perché quando mi impegno in un progetto so che arriveranno i successi.
La famiglia nigeriana in difficoltà
E’ una famiglia di 6 persone: papà malato, mamma, due gemelli di 13 anni, un bambino di 10 e un neonatino di 8 mesi. Il mese scorso si trovavano ad Ancona, in terribile stato di precarietà.
La mamma è una rifugiata che ha affrontato la rotta libica per salvare la sua famiglia, riuscendo miracolosamente ad approdare in Italia, dove è nato il suo ultimo bambino. Ha chiesto aiuto ad Amr, uno scrittore eritreo mio amico che si occupa di accoglienza, un punto di riferimento per tantissimi migranti.
Amr è un punto di riferimento anche per me e per il mio lavoro. Ogni tanto ci telefoniamo, raccontandoci i nostri rispettivi progetti e le storie di cui ci occupiamo. Ci chiediamo reciprocamente anche un sacco di consigli. Lo chiamo, ovviamente, anche per raccontare la mia nuova incursione nel sistema SAI.
“Dovresti dire a qualli del SAI di trovare posto per una famiglia nigeriana che conosco” ribatte Amr, un po’ polemico.
“Lo faccio subito” rispondo con entusiasmo “dimmi di più”.
Amr mi racconta la situazione. La famiglia si trova in una indubbia condizione di estrema fragilità. Bisogna trovare un posto in fretta, non possono stare in strada, con quattro bambini…
“Ce l’ho io un posto!” strillo “Ce l’ho io!”
Proprio il giorno prima, per scrivere un reportage, ho intervistato la responsabile del SAI di Plataci, in provincia di Cosenza, nel parco del Pollino. Il SAI, una quarantina di posti, è quasi pieno. Quasi…
A Plataci so che le famiglie ospiti del SAI stanno bene. Sto seguendo da alcuni mesi i progressi nell’integrazione di una famigliola eritrea (madre con due figli) evacuata dalla Libia. Tutte note positive: hanno imparato l’italiano, fatto amicizia, vivono in un appartamento indipendente al centro del paese.
“Ci sarebbe posto anche per la famiglia nigeriana?” chiedo a Maria Rosaria Bellusci, portavoce dell’associazione Jete , che gestisce il SAI di Plataci.
Sì, c’è.
In tempi record a Plataci valutano il caso della famiglia nigeriana e… la accolgono.
Un grosso benvenuto a Plataci per la famiglia nigeriana!
Adesso vivono in paese, in un appartamento indipendente, solo per la loro famiglia. Il papà viene curato. I tre bambini più grandi vanno a scuola. Il piccolino sta con la mamma, imparerà a camminare qui e le sue prime parole potrebbero essere in nigeriano, in italiano o in albanese, visto che Plataci è una comunità italo-arbëreshë.
La rete di Benaccoglienza è più giovane del neonato della famiglia. Eppure già ha incassato una vittoria. Ha fatto ciò che doveva: ha raccontato storie per mettere in contatto i rifugiati con gli operatori dei centri di accoglienza. Sono molto contenta.
Le famiglie rifugiate salvano le scuole e l’anima dei piccoli comuni
Prima che aprissero il SAI, la scuola di Plataci rischiava la chiusura per le poche iscrizioni. Poi, i bambini arrivati dall’estero l’hanno salvata.
Molti piccoli comuni stanno cogliendo l’opportunità di ripopolare i loro borghi e tenere aperte le loro scuole.
In molti paesini i bambini sono costretti ad alzarsi all’alba per raggiungere scuole lontanissime. A Plataci no. I bimbi, italiani o stranieri che siano, vanno a scuola a piedi, escono tutti assieme, giocano a palla nella piazza del paese. Ci sono la figlia di Maria Rosaria, il piccolo della famiglia eritrea evacuata dalla Libia a febbraio e adesso anche i ragazzini nigeriani.
Il progetto SAI di Plataci: non chiamatelo virtuoso!
Quello di Plataci non è un progetto “virtuoso”, è un progetto che funziona come devono funzionare i progetti SAI in Italia, ovvero BENE. Plataci è la normalità perché la normalità dell’accoglienza italiana deve essere l’eccellenza.
Il governo italiano finanzia poco e male l’accoglienza. Eppure, con quel poco, gli operatori di alcuni progetti SAI riescono a fare tantissimo. Riescono a curare traumi e a restituire la vita alle persone.
La famiglia eritrea arrivata a marzo a Plataci già parla italiano. Lo hanno imparato in tempi record grazie alla maestra Maddalena. Non conosco Maddalena e non so il suo cognome ma la ringrazio per l’eccelso lavoro. So che si divide tra lezioni agli adulti – divisi in gruppi in base al livello di conoscenza dell’italiano – e ai bambini, con cui trascorre tutti i pomeriggi per aiutarli a fare i compiti. Come Maddalena, ringrazio tutti gli operatori di questo progetto SAI.
Una casa, cure mediche, cibo, i bambini che vanno a scuola. La sicurezza, la libertà di fare una passeggiata, di ridere. Forse a voi sembrerà poca cosa, ma vi assicuro che non lo è.
Andrò presto a visitare Plataci e a conoscere dal vivo tutte le persone di cui vi ho raccontato in questo articolo. Sarà bello.
Questo blog ha bisogno di aiuto, scopri perchè. Qui sotto trovi il link alla donazione con PayPal o carta. Sappi che il blog farà fruttare parecchio ogni euro che arriverà e ti renderà fiero di averlo donato.