Il turismo ha distrutto e salvato Cuba, allo stesso tempo.

Il socialismo cubano e il turismo straniero a Cuba hanno una storia comune.

Chi mi conosce mi ha spesso sentita ripetere che gli Stati Uniti non sono riusciti minimamente a scalfire l’ideologia rivoluzionaria cubana ma… i villaggi Valtur si!
In che senso?
Dobbiamo prendere il discorso un po’ alla lontana, tornando alle basi del socialismo cubano.

Avete presente l’utopia socialista in cui tutti sono uguali e hanno le stesse possibilità?

I cubani hanno provato a realizzarla a Cuba, con le migliori intenzioni.

Cos’è un’utopia?

L’etimologia ci dice che utopia viene dal greco οὐ (“non”) e τόπος (“luogo”) e significa “non-luogo”.

Un luogo che non esiste. No! Un luogo che non esiste ANCORA.

Provare a realizzare un’utopia secondo me è  e deve essere l’atto basilare di ogni rivoluzione. E non perché le rivoluzioni abbiano ideali campati in aria, tutt’altro. I rivoluzionari lottano per creare luoghi che ancora non esistono.

A Cuba dal 1959 in poi si sono impegnati molto per creare un luogo nuovo e ci sono andati molto molto vicini.

Dopo il 1959 tutto è stato statalizzato con l’intento di rendere la ricchezza PUBBLICA, ovvero DI TUTTI.
Ora lasciate svanire l’alone stantio e truffaldino che circonda in Italia la parola “statalizzazione” e immaginate una società dove tutti quelli che lavorano hanno uno stipendio compresi gli studenti (solo se studiano e danno esami, eh eh), dove la sanità è completamente gratuita, dove quando ti sposi hai una casa, dove se il tuo lavoro è almeno 2 km lontano da casa hai una bicicletta e soprattutto dove anche il figlio del contadino può diventare dottore perché la scuola è gratuita compresi i libri e, anzi, lo pagano per studiare.

Utopia pura? Eh no. E’ stato possibile. Per un po’.

Ma per poco perché questo luogo-non luogo che diveniva sempre più reale non piaceva al resto del mondo, soprattutto ai vicini yankee che già nel 1963 misero un embargo a Cuba. L’URSS cerco di arginare il problema aiutando economicamente Cuba  ma dopo il crollo del Muro di Berlino cessò gli aiuti. A Cuba quella ricchezza che prima c’era e divisa per tutti bastava, si esaurì rapidamente e il paese si trovò ad avere una povertà, non più una ricchezza, da dividere tra tutti.

Arrivai a Cuba la prima volta nel 1995, avevo 19 anni. Il paese era nel pieno del “periodo speciale”, un momento difficilissimo di austerità che però non aveva fiaccato l’entusiasmo rivoluzionario dei suoi abitanti.
Mi ritrovai una sera a chiacchierare con un gruppo di ragazzi della mia età. Alcuni lavoravano, altri studiavano all’università, uno era un pugile, ed erano molto felici di avere tutti lo stesso stipendio perché pensavano di contribuire tutti, anche se in modi diversi, allo sviluppo della società. Il loro stipendio era bassissimo, una ventina di dollari circa, ma con l’aggiunta del cibo e di altre cose fornite dallo Stato ancora bastava, perché la globalizzazione era stata ritardata dall’embargo e nessuno desiderava scarpe Nike o un cellulare perché era roba che non conoscevano e che dopotutto non gli serviva.

Com’era il turismo straniero nel 1995?

Fino a pochi anni prima era poco e bello: viaggiatori zaino in spalla che giravano l’isola.
Ma in quegli anni era successa una cosa.
Negli anni precedenti Castro aveva capito che l’isola se la passava male e che Cuba doveva trovare una nuova fonte di reddito. Avendo un’isola bellissima puntò subito sul turismo e decise di aprire alle grandi catene di villaggi, anche italiani. Ma… alle sue regole.
Confinò  i villaggi turistici in 2 luoghi, Varadero e Cayo Largo, e ne impedì l’accesso ai cubani. Perché? All’inizio non lo capii, mi sembrava un gratuito atto tiranno.
Ma poi si.

Nel 1995 Castro aveva deciso da poco di “sghettizzare” i grandi villaggi turistici permettendo l’edificazione in altri luoghi. Deve essere stata per lui una decisione sofferta. I turisti da villaggio portavano ricchezza e quella ricchezze serviva a Cuba, stremata dall’embargo. C’erano quindi già voli charter che scaricavano botte di 500 persone in piccoli aeroporti di provincia.

Fu in uno di questi aeroporti che io capii. Mi misi a chiacchierare con dei cubani che portavano le valige dal bagagliaio dei pullman turistici all’ingresso dell’aeroporto in cambio di una mancia. Due di loro avevano lasciato una cattedra all’università per fare i portabagagli.
Cosa????
Eh si. Il turista sgancia 1 dollaro di mancia. A fine giornata con i bagagli si racimola l’equivalente di un mese di stipendio da professore.

E fu l’inizio della fine. Col suo dollaro il turista fece quello che gli Stati Uniti non erano riusciti a fare con le armi. Quel dollaro distrusse l’utopia, uccise tutti i sogni.

Negli ultimi 20 anni a Cuba il turista con il semplice atto di andare in vacanza ha smantellato sia il sistema economico che quello sociale del paese e demolito pezzo a pezzo l’ideologia rivoluzionaria.
A nulla sono servite le leggi di Castro che limitavano l’iniziativa privata nel turismo, se non ad alimentare la diffusa illegalità.

Tornai a Cuba nel 1996, poi nel 1998. L’ultima volta all’Havana chiacchierai per strada con un ragazzo e un poliziotto gli disse che era vietato parlare ai turisti stranieri, poi vidi una gran fila di gente davanti ad un negozio: erano arrivate le Nike.

Si abbandonavano in massa studi e cattedre universitarie per portare delle valigie e comprare un paio di scarpe colorate. Benvenuta globalizzazione, prego si accomodi qui.

“Ormai ci vorrebbe una macchina del tempo per visitare Cuba” dissi, e non vi tornai mai più. Avevo 22 anni.

E oggi?

Poco tempo fa sono passata per l’aeroporto dell’Havana per andare in Nicaragua ed ho osservato un viavai di turisti da villaggio, soprattutto italiani, che entrando e uscendo dai duty free si raccontavano reciprocamente le vacanze appena terminate. Perdonate il mio snobismo ma in pochi metri erano concentrate tutte le tipologie di persone che ho evitato nell’arco di un’intera vita. Ho pensato che un posto può essere bello quanto ti pare ma se è popolato da gente che non ti piace meglio evitarlo e proseguire, come stavo facendo, per una locale sincera jungla nicaraguense.

Però… se ci volete andare lo stesso sappiate che quel dollaro non ha demolito tutto, il senso di giustizia sociale è ancora presente nel DNA dei cubani!
Lo vedi quando mandano i loro medici ad aiutare l’Africa nella lotta contro il virus Ebola, lo vedi quando offrono borse di studio nei loro atenei agli studenti statunitensi indigenti, lo vedi nel finale di Sicko, documentario sulla terrificante sanità statunitense, quando Michael Moore porta i soccorritori dell’11 settembre a Cuba.
Usatelo quel dollaro, fatene arrivare tanti altri, rendete Cuba un paese ricco e poi vediamo come ridistribuiscono la loro ricchezza. Parlate con la gente e aiutiatatela ad orientarsi in questo per loro nuovo mondo globalizzato che ha tanti difetti ma magari anche qualche piccolo pregio (la libera circolazione delle notizie su internet, la voce alle minoranze).
Daidaidai, la strada verso l’utopia è ancora percorribile!

Nel frattempo impegnatevi a fare viaggi a Cuba facendo lo slalom tra gli acerrimi nemici del turismo responsabile: le vacanze  standardizzate e l’illegalità.

Lasciate perdere i villaggi a capitale straniero e usate alberghi statali e Case Particular, ma soltanto quelle legali! Quelle in cui i proprietari si lamentano di pagare tante tasse al governo ma sotto sotto sanno che quel dollaro verrà diviso tra tutti. Evitate il sorridente autista illegale e la signora simpatica che vi vende il pranzo senza ricevuta.

Solo così il vostro dollaro avrà un senso.

Hasta siempre la Victoria!

Questo blog ha bisogno di aiuto, scopri perchè. Qui sotto trovi il link alla donazione con PayPal o carta. Sappi che il blog farà fruttare parecchio ogni euro che arriverà e ti renderà fiero di averlo donato.

Lascia un commento