Dal lager libico di Ain Zara lo sconvolgente video del pasto giornaliero dei rifugiati lì reclusi.

Sono anni che racconto cosa (non) si mangia nei lager libici, ma è la prima volta che, oltre le foto, posso mostrarvi anche il video di questo pasto.

L’ho ricevuto ieri dal lager libico di Ain Zara, a Tripoli, dove sono attualmente reclusi i rifugiati (uomini, donne e bambini) del presidio #EvacuateRefugeesFromLibya, arrestati negli scorsi mesi.

Eccolo, guardatelo (se non parte qui sotto potete andare direttamente su YouTube). Poi lo commenterò più sotto.

Ho scritto sempre molto sul cibo nei lager libici e sono tre anni che monitorio l’alimentazione di tutti i lager libici della zona di Tripoli, cioè di quelli gestiti dal governo libico con il benestare del governo italiano.

L’alimentazione è sempre uguale: pastina. SOLO e sempre pastina. (“Solo” l’ho scritto maiuscolo perché non viene dato altro, tranne una volta che veniva in visita un ambasciatore e hanno servito del riso bianco; “Sempre” l’ho scritto minuscolo perché alcuni giorni non arriva cibo).

Lager libico Ain Zara - cibo

Il cibo viene generalmente fornito una volta al giorno. Ma certi giorni non arriva. I rifugiati vengono lasciati senza mangiare anche per tre giorni di fila (a Zintan sono arrivati a 6).

La pastina è posta in ciotole di metallo, ogni ciotola viene sistemata in terra e deve sfamare almeno quattro o cinque persone. Nei giorni in cui arriva cibo, ognuno si nutre con 50 grammi di pasta.

Si mangia da terra, affondando le mani tutti nella stessa ciotola. Non c’è modo di lavarsi le mani, non c’è sapone. E’ uno dei motivi per cui la TBC e altre malattie contagiose si diffondono con tanta rapidità.

Questa alimentazione priva di proteine porta comunque alla morte dopo alcuni mesi. Qui ci sono più foto e informazioni.

Non c’è nulla di normale o di “africano” in tutto ciò: in Libia (come nel resto dell’Africa) NON si mangia pasta e NON si mangia con le mani da collettive ciotole per cani poggiate in terra. Questa che vedete è solo l’ennesima tortura praticata dal governo libico (che gestisce questo lager) nei confronti dei rifugiati.

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