Ricostruzione del caso Open Arms, per cui è a processo Salvini.
Era l’agosto 2019: 163 persone, tra cui tantissime donne e neonati, lasciate in mare per 19 giorni.

Il contesto

L’estate del 2019 fu un periodo di continuo scontro politico sul tema delle migrazioni.

C’era il governo Conte I. Ministro dell’interno era Matteo Salvini, con capo gabinetto Matteo Piantedosi. I due scrissero e fecero approvare due decreti sicurezza che contenevano diverse disposizioni, di dubbia liceità costituzionale, sull’immigrazione. In particolare il secondo, il decreto sicurezza bis, attribuiva al Ministro dell’interno il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale.

Pochi giorni prima del caso della Open Arms c’era stato il “caso Gregoretti”: Salvini negò lo sbarco alla nave militare italiana Gregoretti su cui c’erano 135 migranti salvati nel Mediterraneo perché pretendeva che l’Europa si facesse carico dell’accoglienza.


Ricostruzione giorno per giorno del caso Open Arms, per cui è a processo Salvini.

Il 1 agosto 2019 la nave Open Arms, durante la sua Missione 65, operò un salvataggio: una barca di legno blu con 55 persone. 20 erano le donne e 2 i neonati.

Quel giorno il ministro dell’interno Matteo Salvini, con toni aggressivi, scrisse su Twitter:

In serata Matteo Salvini firmò, insieme al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e a quello della Difesa Elisabetta Trenta, il provvedimento che prevedeva il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali italiane per la nave Open Arms. Era scattata l’applicazione del “decreto Sicurezza bis” e, di conseguenza, il divieto di entrare in acque territoriali.

Poche ore dopo, di notte, la Open Arms fece un secondo salvataggio: 69 persone su un gommone. C’erano 2 donne incinte e 2 bambini.

Il 2 agosto la nave Open Arms, con 124 persone a bordo, chiese all’Italia un porto di sbarco. Ma Roma non lo assegnò.

La notte tra il 2 e il 3 agosto 3 donne vennero evacuate dalla Open Arms per motivi medici. Erano Jennifer, incinta di 9 mesi, della Nigeria; Marie, della Costa d’Avorio, incinta di 8 mesi e mezzo, e la sorella di Marie. Le venne a prendere una motovedetta della guardia costiera italiana e le portò a Lampedusa. Entrambe le donne incinte soffrivano di complicazioni nella fase avanzata della loro gravidanza e il rischio che qualcosa andasse storto era molto alto.

“Marie” scrisse la Open Arms “ha 22 anni ed è originaria della Costa d’Avorio. E il suo sorriso è un dono, la sua storia terrificante. È stata rapita, violentata sistematicamente e il padre del suo futuro bambino ucciso un mese fa mentre fuggiva dall’attacco al centro di detenzione di Tajoura, dove era imprigionato. Ma vede il suo futuro figlio e sorride. Ora è in un ospedale in Italia ed è al sicuro. Tutto grazie a tutte le persone che ci sostengono giorno dopo giorno. Grazie”. La storia che raccontò Marie è conosciuta: il papà del suo bambino era stato ucciso dalle le guardie del lager di Tajoura, che  durante il bombardamento del 2 luglio 2019 avevano sparato addosso ai migranti che cercavano di mettersi in salvo. (Si veda articolo qui).

Sulla Open Arms rimasero 121 naufraghi, tra cui 32 minori.

Attendendo il porto, la Open Arms pubblicava ogni giorno materiale video fotografico sui suoi social, raccontando la storia dei naufraghi, tra i quali c’erano bambini molto piccoli.

Personalità di tutto il mondo si interessarono alla vicenda, denunciando pubblicamente la crudeltà di Matteo Salvini.

I giorni passavano, ma il porto non arrivava.

Tra le tante donne e bambini c’era anche una bella famigliola del Sudan, tutta al femminile, tre generazioni: Hayat, Safa e la piccola Isa. Le donne erano finalmente fuori dall’inferno della Libia, in cui erano morte e continuavano a morire centinaia di rifugiate. Soltanto un mese prima il mondo era inorridito per il bombardamento del lager di Tajoura, ma l’indignazione in Italia era durata poco.

Il 7 agosto intervenne il Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale, sottolineando come lo stallo in mare avesse “un impatto rilevante sui diritti fondamentali delle persone soccorse, impossibilitate allo sbarco e in quanto tali impedite nella propria libertà di movimento, ed esposte al rischio di trattamenti contrari sia al senso di umanità sia alla dignità delle persone stesse“. Ma il ministero dell’Interno non batté ciglio.

Il 9 agosto l’attore Richard Gere salì sulla nave per portare viveri e lanciare un appello: “La cosa più importante per queste persone è avere subito un porto sicuro, scendere a terra e iniziare la loro nuova vita. Non siete soli”. Parole alle quali Matteo Salvini rispose: “Speriamo che si abbronzi, che si trovi bene, non penso gli manchi nulla”.

La notte tra il 9 e il 10 agosto, la Open Arms, con ancora 121 persone a bordo, fece un terzo soccorso salvando 39 persone che erano in acque internazionali, SAR maltese.

L’intervento era stato richiesto proprio dal governo maltese, ma La Valletta si rese disponibile a far sbarcare soltanto i 39 naufraghi appena salvati, non i 121 che già erano sulla Open Arms da giorni. Così, nell’impossibilità di fare avanti e indietro con Malta trasportando così tante persone, la Open Arms rimase a largo di Lampedusa e i naufraghi a bordo divennero così 160.

Nota: sul web c’è un articolo di Repubblica che parla del terzo soccorso ma che ne riporta la data sbagliata. L’articolo fu pubblicato il 9 agosto con la sola notizia della visita  di Richard Gere. La mattina dopo fu editato con  la notizia del terzo soccorso.

Il 10 agosto arrivò il veliero Astral, della stessa ONG Open Arms, per portare rifornimenti.

L’11 agosto la open Arms sollecitò un’evacuazione medica per 3 persone le cui condizioni di salute si erano aggravate. Una motovedetta della guardia costiera italiana le prelevò nella notte.

Anche il 12 agosto la Open Arms chiese evacuazione medica per due donne, che vennero prelevate assieme ai loro bimbi e ad altri familiari. A bordo rimanevano 151 naufraghi.

“El día de la marmota” (Il giorno della marmotta) lo chiamò Oscar Camps, fondatore di Open Arms, citando il celebre film.


Il 13 agosto un bambino e la sua famiglia vennero evacuati per problemi respiratori del bimbo. Restavano a bordo 147 naufraghi, sotto il sole cocente di agosto.


Il 14 agosto il Tar del Lazio, a cui era stato presentato un ricorso, sospese il divieto di ingresso in acque territoriali italiane che era stato firmato da Matteo Salvini, Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli.

A quel punto la Open Arms si avvicinò alle coste italiane.

Il 15 agosto la Open Arms ancorò a largo di Lampedusa, ma ancora senza il permesso di entrare in porto. La situazione a bordo era divenuta insostenibile sia dal punto di vista pratico che da quello psicologico: 147 persone più un equipaggio costrette da due settimane a vivere in pochi metri di nave.
Venne richiesta l’evacuazione urgente di 5 persone più 2 loro familiari.

Il 16 agosto vi furono altre 6 evacuazioni mediche. Restavano a bordo 134 naufraghi.

Il 17 agosto venne autorizzato e realizzato lo sbarco dei 27 minori non accompagnati che erano ancora a bordo.

Il 18 agosto tra i 107 naufraghi vi furono scene di panico. Alcuni si gettarono in acqua per raggiungere Lampedusa a nuoto e vennero convinti dai soccorritori a risalire sulla nave.


Qualche ora dopo la Spagna offrì alla Open Arms il porto di Algeciras ma era a 5 giorni di navigazione e la nave rifiutò.

Il 20 agosto il panico si impadronì di nuovo dei naufraghi, tra cui ancora c’erano delle donne. Alcuni di nuovo si lanciarono in acqua. Open Arms chiese evacuazione urgente per 8 persone.

Ma la situazione si sbloccò all’improvviso: la procura di Agrigento, dopo un’ispezione del procuratore a bordo, dispose il sequestro della nave Open Arms, ferma davanti all’isola di Lampedusa, e l’evacuazione immediata dei profughi. Dopo ben 19 giorni in mare, dopo che il Tar del Lazio aveva sospeso il divieto di ingresso dei decreti Salvini, i migranti vennero fatti sbarcare.

Nel frattempo, l’Italia deportava in Libia centinaia di persone…

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