Agente libico ruba telefono e account Whatsapp ad un rifugiato. Il caso, eclatante, è avvenuto nel lager libico di Triq al Sikka, finanziato dal governo italiano. Il furto dei beni dei migranti viene praticato in modo continuo dalle forze dell’ordine, le stesse che l’Italia finanzia con gli accordi Italia-Libia.
L’ignobile furto di un telefono in un terribile lager libico
Il ventenne Martin (nome di fantasia) tenta il mare per fuggire dalla Libia. Sale su un gommone assieme ad altri rifugiati. Dopo un giorno e una notte di navigazione, viene individuato da un aereo spia europeo e poi catturato da una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica, una di quelle donate dall’Italia al Governo di Accordo Nazionale libico (GNA).
Fin qui la storia è tragicamente uguale a tante altre, migliaia ogni anno. I migranti catturati in mare vengono sbarcati nel porto di Tripoli e da lì deportati nei lager. Martin finora è riuscito a nascondere il suo telefono cellulare, evitando che i cosiddetti guardiacoste libici se ne approprino. Una volta a terra, riesce a mandare alcuni messaggi whatsapp a parenti e amici: “Sono vivo, ma mi hanno catturato”.
Martin viene deportato nel lager libico di Triq al Sikka, finanziato dal ministero dell’interno italiano con il tristemente famoso “bando Minniti” (anche detto “Bando della Vergogna”). A Triq al Sikka i controlli sono in genere molto accurati: all’ingresso tutti i deportati vengono perquisiti e tutti i loro beni (soldi, telefoni, gioielli, persino le scarpe) vengono rubati* dalle guardie del lager libico.
*NdA il verbo rubare è corretto. Non stiamo parlando di una confisca a termine, con beni personali custoditi dal personale del carcere in una busta nominativa, come avviene in tutte le prigioni del mondo. Stiamo parlando di un mero furto.
Intanto gli ignari parenti e amici di Martin scrivono messaggi al suo account whatsapp. Sono preoccupati per lui: nel lager libico di Triq al Sikka torture, stupri, omicidi sono all’ordine del giorno e vengono tutti compiuti dalle guardie che lo gestiscono.
L’account Whatsapp di Martin risulta attivo, così gli amici insistono a scrivere e a chiamare, ma non ricevono risposta.
La verità è che il cellulare di Martin è stato rubato dalla polizia libica. Ciò appare chiaro dopo qualche giorno, quando l’agente libico in possesso del telefono sostituisce l’immagine del profilo di Martin con la sua. Eccola: un poliziotto libico in divisa.
![Agente libico ruba telefono](https://saritalibre.it/wp-content/uploads/agente-del-lager-libico-ruba-telefono.jpg)
Il gesto, all’inizio, risulta di difficile interpretazione agli amici di Martin. “Cosa ci vuole dire questo poliziotto libico? Che dobbiamo smettere di scrivere? Che il nostro amico è in mano sua? Che è morto?”
Nessuno ha il coraggio di scrivere o di chiamare l’agente.
Dopo qualche giorno, la foto del profilo cambia ancora. Nella nuova è visibile anche il telefono di Martin, nella mano del poliziotto:
![Agente libico ruba telefono](https://saritalibre.it/wp-content/uploads/agente-del-lager-libico-ruba-telefono-2.jpg)
“Di nuovo: cosa vuole dirci questo agente? Che lui può rubare impunemente il telefono ad un rifugiato e può utilizzare il suo account whatsapp?”
Di sicuro, l’agente vuole che la sua faccia appaia sui telefoni di tutti gli amici e parenti di Martin.
E Martin? Che fine ha fatto?
6 mesi. Questo è il tempo in cui Martin è sparito. 6 mesi in cui l’agente ha cambiato spesso immagini del profilo regalandoci una galleria dell’orrore libico. 6 mesi in cui parenti e amici hanno creduto che Martin fosse morto.
Fortunatamente, Martin è sopravvissuto. Dopo 6 mesi è riuscito a fuggire e ci ha raccontato che dal lager libico di Triq al Sikka è stato ceduto ad una delle milizie (la RADA Special Deterrence Forces) come schiavo. Un periodo faticosissimo in cui ha dovuto svolgere lavori pesanti, isolato, privato del cibo.
Il lager libico di Triq al Sikka è il più grande centro di smistamento di schiavi e schiavi soldato della Libia. L’ho scritto e riscritto.
Per chi lavora l’agente che ha rubato il telefono nel lager libico?
Il logo sulla divisa è quello della Forza Operativa Speciale del ministero dell’interno libico, lo stesso ministero con cui l’Italia collabora da anni.
Hanno anche una pagina Facebook:
![](https://saritalibre.it/wp-content/uploads/agente-del-lager-libico-ruba-telefono-3-531x1024.jpg)
Esattamente la milizia che gestiva il lager libico di Triq al Sikka. Per avere più informazioni su che razza di gente il nostro governo finanzi, vi consiglio la lettura di questo ottimo articolo.
Il furto dei beni dei migranti in Libia
Quello del cellulare di Martin è un caso eclatante perché il ladro si è messo a fare lo spavaldo sul suo account Whatsapp. Ma il furto dei beni dei migranti viene praticato quotidianamente dalle forze dell’ordine libiche. Vi ho già raccontato come funziona il business dei furti dei telefoni nei lager libici.
Anche fuori dai lager libici, la polizia del GNA si dà da fare. Questa è una foto scattata dopo il passaggio degli agenti in una casa dove abitavano rifugiati. Hanno rubato tutto il rubabile e devastato la stanza.
![](https://saritalibre.it/wp-content/uploads/furto-beni-lager-libico.jpg)
Il furto dei beni dei migranti è legale in Libia?
In Libia la legge 19/2010 condanna gli stranieri irregolari ai lavori forzati a tempo indeterminato. Non sono riuscita invece a trovare alcuna legge che legittimi il furto dei beni dei migranti ad opera delle forze dell’ordine del Governo di Accordo Nazionale libico.
Se la schiavitù basata sulla razza in Libia è legale, magari lo sono anche il furto, lo stupro, l’omicidio. Non sarebbe la prima volta che un governo legalizza il furto dei beni basato sulla razza.
Quello che è certo è che da noi, in Europa, in Italia, tutto ciò è illegale e fortemente immorale. Eppure i parlamentari italiani continuano a pagare (con i nostri soldi) la cosiddetta polizia e la cosiddetta guardia costiera libica.
Questo articolo è dedicato a Martin, che ha sofferto tantissimo ma ora sta bene, perché è riuscito finalmente ad uscire dall’inferno della Libia. E’ dedicato anche agli amici e ai parenti di Martin, costretti a guardare per mesi le foto del ladro in divisa. Tra gli amici… ci sono anche io. E’ dedicato, infine, agli amici di Twitter che mi hanno aiutato nelle indagini su questa milizia e ai lettori del blog che hanno fatto delle donazioni; il tutto è stato utilissimo per questa e altre mie indagini.
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