E’ la domanda che si pongono oggi i rifugiati del presidio di Tripoli. Sul loro blog hanno scritto un lungo articolo che denuncia l’operato dello staff di UNHCR nella gestione dell’emergenza in Libia.
Potete leggerlo in inglese qui.
Qui sotto cerco di riassumerlo e di tradurlo, così da renderlo comprensibile al 100% a chi non conosce bene tutta la storia.
Attenzione: questo testo NON L’HO SCRITTO IO. Sono TUTTE parole dei rifugiati.
Vi sembra che lo abbia scritto io? E’ buffo, lo sembra anche a me. E’ perché negli ultimi 3 anni sono riuscita a trasmettervi le storie e i pensieri dei rifugiati nella maniera più diretta possibile. Insomma: sono io che scrivo come una rifugiata, non loro che scrivono come me.
A tutti quelli che mi hanno criticata perché “parlo male dello staff di UNHCR in Libia” ho sempre risposto che io non parlo male di nessuno. Io riporto FATTI e diffondo le testimonianze dirette dei protagonisti di questi fatti. Lo faccio anche oggi.
Ma veniamo all’articolo scritto dai rifugiati:
I rifugiati riassumono gli eventi degli ultimi mesi:
- All’inizio del mese di ottobre, le autorità libiche e i loro apparati di sicurezza, comprese varie milizie, compiono raid casa per casa nel quartiere di Gargaresh arrestando indiscriminatamente uomini, donne e bambini stranieri. L’UNHCR nega di essere stato informato preventivamente dei raid.
Ma, si chiedono i rifugiati, come farebbe un governo a condurre incursioni così massicce e violente contro rifugiati e richiedenti asilo senza informare la commissione responsabile per gli affari dei rifugiati?
Secondo i rifugiati, ci sarebbe stato un incontro preventivo di UNHCR e OIM con i funzionari del governo libico per discutere le questioni relative alla migrazione e ai rifugiati prima dell’attacco a Gargaresh.
Durante la prima settimana dei raid di Gargaresh, denunciano i rifugiati, l’UNHCR non è intervenuto, e i migranti hanno dovuto subire stupri, torture, estorsioni, lavori forzati e gravi violazioni dei diritti umani equivalenti a crimini contro l’umanità.
- Dopo una settimana di fame e torture, i rifugiati detenuti nel cosiddetto centro di detenzione di Al Mabani riescono a fuggire in massa, ma ci sono tra loro decine di morti e centinaia di feriti. Si recano al quartier generale dell’UNHCR a Seraj, sperando di essere protetti dall’UNHCR. Ma l’UNHCR chiude le porte dell’ufficio e sospende tutte le sue attività nel centro diurno comunitario.
Così inizia il presidio: migliaia di persone si accampano fuori l’ufficio di UNHCR implorando di essere evacuate in paesi sicuri.
I rifugiati sono lì da 2 mesi. Stanno comunicando con tutto il mondo e il mondo sta dando loro ascolto e solidarietà. Ma – denunciano ancora i rifugiati – UNHCR non sta agendo come dovrebbe.
- Il 12 ottobre, l’UNHCR tiene un incontro con i rappresentanti dei manifestanti e discute diverse cose, ma non si trova una soluzione accettabile, pertanto l’UNHCR coinvolge il ministero dell’immigrazione illegale Al Khoja e il leader della comunità del quartiere di Seraj. Scoppia l’inferno: pochi istanti dopo la partenza del convoglio, un giovane sudanese viene ucciso da milizie sconosciute. L’obiettivo è quello di spaventare i manifestanti. I funzionari del governo libico sottolineano cosa può accadere se i manifestanti si rifiutano di collaborare. Le autorità propongono di deportare i manifestanti nel centro di detenzione di Ain Zara, ma i rifugiati ovviamente si oppongono, perché sanno esattamente cosa accade dietro le sbarre di quel lager.
- Il 13 ottobre, l’UNHCR convoca un secondo incontro e ribadisce l’invito ai manifestanti a disperdersi ed allontanarsi. UNHCR minaccia altresì di chiudere definitivamente l’ufficio e di togliere la sua bandiera dall’edificio (UNHCR spiega ai rifugiati che l’unica garanzia di sicurezza per i manifestanti è la bandiera dell’UNHCR che sventola sull’edificio. Senza di quella, verrebbero immediatamente attaccati dalle milizie). I rifugiati ignorano queste intimidazioni.
Il sitin prosegue per tutto ottobre, tra assalti e minacce dei libici.
In questi mesi i profughi del presidio vengono costantemente minacciati, picchiati e derubati sia dalle milizie che da normali cittadini libici. L’UNHCR – secondo i rifugiati – tace sempre su tutte queste atrocità. Ma la cosa più grave, denunciano, è stata che UNHCR ha negato ai rifugiati ciò che chiedevano: rifugio e assistenza medica.
- Il 31 ottobre, l’UNHCR convoca il terzo incontro, questa volta con il capo missione dell’UNHCR, Jean Paul Cavalieri. Discutono dozzine di questioni e i rifugiati raccontano le loro precarie condizioni di vita e ribadiscono la loro richiesta di evacuazione. I rifugiati del presidio chiedono inoltre all’UNHCR di intercedere per il rilascio dei loro fratelli detenuti nei campi, in condizioni disumane, esposti a stupri, torture, estorsioni. Ma l’UNHCR risponde negativamente: non è in grado di proteggere i rifugiati e non evacuerà i rifugiati accampati. Un nuovo diktat: UNHCR sosterrà il rilascio dei detenuti SOLO SE i manifestanti si disperderanno.
In seguito al terzo incontro, l’UNHCR rafforza la sicurezza e fortifica il suo ufficio con l’utilizzo di milizie armate libiche.
- il 7 novembre, i manifestanti che stanno pacificamente agitando i loro cartelli vengono duramente picchiati e feriti dalle guardie armate dell’UNHCR.
- il giorno seguente un giovane ragazzo viene accoltellato dalle stesse guardie.
- il 24 novembre, l’UNHCR ordina alle sue milizie armate di bruciare le tende dei profughi senzatetto.
Fino ad oggi, denunciano i rifugiati, l’UNHCR non ha risposto alle domande poste dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani e dai manifestanti.
Inoltre, UNHCR fa una cosa:
UNHCR annuncia la chiusura definitiva dell’ufficio davanti al quale sono accampati i rifugiati.
Il comunicato di UNHCR è il seguente:
“Community day center (CDC) to close by end of year.
It is with deep regret that UNHCR and its partners announce the closure of the community day center in Tripoli. As we have not been able to open the centre for most of the past two months, we believe that the best way to help those trying to access our services in the urban areas of Tripoli is to further develop alternative solutions.
Together with our partners, CESVI and IRC (the International Rescue Committee), we are working hard to find solutions to continue providing life-saving services to vulnerable refugees and asylum seekers as previously delivered at the CDC. This includes medical and psychosocial services, provision of emergency cash assistance and basic relief items, as well as legal counseling (provided by NRC the Norwegian Refugee Council).
The provision of emergency cash assistance in other parts of Tripoli has already started and, to the extent possible, we shall strive to reinforce it, including medical care, emergency cash, food and renewal of UNHCR documentation.
Questa mossa lascia sconcertati i rifugiati.
“Perché l’UNHCR ci abbandona in questa orrenda situazione?” si chiedono.
L’UNHCR collabora da tempo con il governo libico nei punti di sbarco ad ogni respingimento che avviene nel Mar Mediterraneo. Forniscono biscotti e acqua ai migranti appena catturati e promettono loro un aiuto futuro. Una speranza che dura solo per ore. Poi il personale dell’UNHCR si allontana, abbandonando i profughi al loro destino.
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