Sapete dove sono i 1700 migranti scomparsi in Libia dopo la deportazione? Ve lo rivelo.
L’ONU ha segnalato la recente scomparsa di più di 1700 persone nel sistema dei lager libici.
Nei primi 5 mesi del 2020, un totale di 3150 persone è stato catturato in mare dalla cosiddetta Guardia Costiera libica e dai maltesi, con la quotidiana collaborazione degli aerei italiani della missione Frontex.
Le 3150 persone catturate in mare sono state tutte respinte in Libia, con sbarco nel porto di Tripoli. Di queste, segnala l’ONU, solo 1400 si trovano attualmente nel sistema dei campi migranti “ufficiali” di Al Serraj. Le altre 1700 sembrano scomparse nel nulla.
In questi mesi tutti i gruppi di attivisti che si occupano di Libia hanno ricevuto moltissime segnalazioni di persone scomparse. Più di quante ne ricevono di solito. Parenti di rifugiati catturati nel Mediterraneo chiedono agli attivisti notizie dei loro cari, letteralmente scomparsi.
Anche nel mio collettivo – Josi & Loni Project – riceviamo moltissime segnalazioni.
Recentemente Alarm Phone ha perso contatto con interi gommoni. Nell’ultima telefonata, i passeggeri avvertivano Alarm Phone dell’imminente arrivo di motovedette libiche. Poi le comunicazioni si interrompevano (la prima cosa che fanno i libici quando intercettano un gommone è requisire il telefono satellitare). Nessuno dei passeggeri ha mai più contattato i parenti a casa.
Dove sono finite le 1700 persone scomparse?
Subito dopo la deportazione in Libia, la maggior parte è stata chiusa nel lager di Triq al Sikka. E’ da qui che sono iniziate le sparizioni.
Io so che:
– Una parte dei rifugiati è stata ceduta alle terribili milizie di Al Serraj per essere impiegati come schiavi-soldato. Vengono mandati in prima linea. Molti sono già morti al fronte.
– Un’altra parte ha subito un “processo” (davanti ad un giudice, ma senza avvocati difensori) e con il reato di immigrazione clandestina (anche se quando li hanno catturati stavano uscendo e non entrando in Libia) sono stati condannati chi a 3 chi a 6 mesi di reclusione da scontare nelle carceri ordinarie (soprattutto nel carcere di El Jadida a Tripoli). Al termine di questa detenzione, alcuni sono stati riportati a Triq al Sikka e lì ceduti alle milizie di Al Serraj, quelle tristemente famose per torture e omicidi.
Come so tutto questo?
“Chi cerca, trova” mi diceva sempre mia nonna. Aveva ragione.
Grazie alla mia rete di contatti tra i rifugiati, ho ripercorso i movimenti di alcuni scomparsi che cercavo. Ho incrociato testimonianze di persone che li avevano visti in questo o quel carcere e sono riuscita a ricostruire l’intero sistema di trasferimenti.
Inoltre ho raccolto alcune testimonianze dirette.
Le testimonianze degli schiavi-soldato
I libici, protetti e finanziati dai governi europei, soprattutto da quello italiano, pensano di godere di un’impunità assoluta. Considerano le persone catturate in mare come dei senza-nome, pura carne da macellare in guerra e lasciar morta sul campo di battaglia. I libici sanno che i loro schiavi hanno salutato i parenti prima di imbarcarsi e che una loro sparizione verrebbe addebitata al mare.
Eppure certe volte le cose non vanno come pensano i potenti. Certe volte ci sono dei ragazzi che riescono a scappare alle milizie e con le ultime forze rimaste tentano nuovamente il mare e ce la fanno! Sbarcano in Europa, riacquistano la libertà e il loro nome e si rendono conto che hanno ancora voglia di lottare, per loro e per chi è rimasto indietro. Così raccontano le loro storie.
Tra le testimonianze, c’è quella di Paul (nome di fantasia), che è riuscito a fuggire dopo due mesi di schiavitù presso una delle milizie peggiori. La sua storia è recente. 2020, ed è allucinante.
Dopo essere stato catturato in mare dalla Cosiddetta Guardia Costiera libica con la collaborazione dell’Europa, Paul è stato deportato in Libia, precisamente nel lager di Triq al Sikka. Da lì lo hanno trasferito al Tribunale di Tripoli per un “processo”. Ho messo le virgolette perché a Paul non è stato concesso neanche il diritto di chiamare un avvocato. Il “giudice” libico (metto anche la parola giudice tra virgolette, perché se le merita!) lo ha condannato a 3 mesi da scontare nel carcere ordinario di El Jadida, quello per criminali. Come lui, tanti altri rifugiati hanno ricevuto la medesima condanna. L’accusa, mi hanno detto, era Immigrazione Clandestina, anche se quando li hanno catturati stavano scappando dalla Libia, non certo entrando!
Pochi mesi fa la pena di Paul è finita ed il ragazzo è stato ricondotto a Triq al Sikka. Lì una nuova tragedia: è stato ceduto alle milizie di Al Serraj e costretto a combattere in prima linea, assieme a tanti altri migranti schiavi-soldato.
Dopo due mesi di questo orrore, Paul è riuscito a scappare, lasciando indietro tanti amici che non ce l’hanno fatta. Gli incubi che ha, forse non lo abbandoneranno mai.
Gli schiavi-soldato. Un sistema criminale del Governo di Al Serraj, appoggiato e finanziato dall’Italia.
Come funziona? Semplice:
Chi non vuole combattere, viene ucciso dalla milizia. Chi combatte, viene ucciso in battaglia.
C’è un ricambio continuo di schiavi-soldato per sostituire quelli che muoiono in battaglia. Tutti catturati in mare. Sono i migranti di cui leggiamo sui giornali, quelli “riaccompagnati” (cit. Matteo Salvini) in Libia.
Recentemente il ministro degli esteri Luigi Di Maio ha dichiarato che “E’ necessario che il trasferimento di armi e mercenari verso la Libia cessino” ma non si è reso conto che è proprio il suo Governo, con gli accordi Italia-Libia e il sostegno economico (a spese nostre!) alla cosiddetta Guardia Costiera libica, a fornire schiavi-soldato all’esercito di Al Serraj.
Io ho cercato di spiegare la questione a Di Maio, con questo tweet:
Ma forse non lo ha recepito. Provateci voi.
Inoltre il nostro Governo, come anche tutti i nostri giornalisti, insiste sul parlare sempre e solo del traffico di armi e soldati verso l’esercito di Haftar e ignora sistematicamente gli atroci crimini commessi da Al Serraj.
Si parla, ad esempio, di migliaia di mercenari sudanesi che stanno combattendo in Libia a fianco delle forze di Haftar e non si scrive una riga sui migranti costretti a combattere per Al Serraj. Ecco, non voglio fare una classifica dell’orrore, ma i mercenari almeno sono pagati!
Fa, infine, quasi sorridere, se si potesse ancora sorridere, la richiesta fatta da Al Serraj alla Corte Penale dell’Aja di indagare sui crimini di guerra di Haftar.
Speriamo che la Corte indaghi su entrambi.
Il reclutamento degli schiavi-soldato avviene SEMPRE nei lager finanziati dall’Italia
Nel 2019 era a Tajoura. Nel 2020 è a Triq al Sikka…
Nel 2019 il centro di reclutamento di schiavi-soldato era il lager di Tajoura, l’ho scritto spesso, mentre non avevo testimonianze di reclutamenti avvenuti in quello di Triq al Sikka.
Sapete cos’era nel 2019 Tajoura? Era il lager dove chiudevano quasi tutte le persone catturate in mare. Dopo il bombardamento del 2 luglio 2019, questo ruolo è passato al lager di Triq al Sikka.
Nel 2020, quindi, il lager di Triq al Sikka è diventato il nuovo centro di reclutamento di schiavi-soldato.
Perché, vi chiederete, cattura in mare e schiavismo di guerra sono connessi?
Per il motivo che spiegavo più sopra: è più facile far sparire persone appena catturate in mare, che non possono comunicare a nessuno di essere ancora vive.
Non a caso, nell’hangar maschile di Triq al Sikka, non sono più permessi i telefoni.
Sia Tajoura che Triq al Sikka sono lager finanziati dall’Italia. Una belle coincidenza.
Come avviene il reclutamento?
I libici fanno una selezione basata su caratteristiche fisiche. Come schiavi-soldato prediligono sudanesi, sud sudanesi e persone del West Africa. Escludono quasi sempre gli eritrei, perché fisicamente più minuti.
Il reclutamento avviene sotto la minaccia di essere uccisi. Una minaccia reale, perché molti vengono uccisi. Uno di loro si chiamava Peter.
In genere i militari di Al Serraj annunciano ai migranti che lavoreranno per 8-10 giorni nelle milizie e poi avranno la libertà. Una bugia! In realtà non li lasceranno più andare. Chi non muore in battaglia, rimane loro schiavo per sempre. Pochissimi riescono a scappare. Tra questi ci sono i ragazzi che mi hanno raccontato queste cose.
il sistema delle catture in mare – a cui l’Europa collabora – sta fornendo schiavi soldato al governo libico di Al Serraj.
Queste persone hanno un nome quando si imbarcano per fuggire dalla guerra. Hanno un nome quando gli aerei italiani di Frontex le scorgono dall’alto in mezzo al mare. Non hanno nome quando gli italiani della missione Frontex comunicano le loro coordinate alla cosiddetta Guardia Costiera libica. Vengono catturate e diventano degli invisibili, dei quasi-morti senza nome da spedire in prima linea a morire, carne da macello.
Tanto, pensano i libici, nessuno li cercherà, li penseranno morti in mare. Lo pensano anche gli italiani? I Parlamentari che hanno firmato gli accordi Italia-Libia probabilmente sì.
Anche io sono italiana, e li cerco, ad uno ad uno, con i loro nomi. Questa è una bella rivincita.
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