Condannato come scafista a 8 anni di reclusione per la testimonianza di un uomo che in realtà NON era sul gommone. Un processo sicuramente da rifare.
Baobab Experience, con l’avvocato Francesco Romeo, chiede la revisione del processo per Diouf, un migrante arrestato, processato e condannato a 8 anni di reclusione come “scafista”.
Il processo, secondo Baobab, si è svolto in modo illegittimo con gravi violazioni del diritto di difesa dell’imputato. Ciò è chiaro anche nelle carte processuali. Per esempio agli atti del processo c’è un interrogatorio dove – su indicazione del Giudice – l’interprete pone domande in francese, inglese e arabo e dalle carte risulta che l’imputato parlasse la lingua wolof. La verità, invece, è che Diouf parlava solo la lingua mandinga, non il wolof, l’inglese, il francese o l’arabo. Diouf non sapeva leggere né scrivere e non ha, chiaramente, capito le domande che gli venivano poste.
“Se avessi parlato l’italiano che parlo adesso, non sarei finito in carcere” dichiara oggi Diouf, continuando a proclamarsi innocente.
Ma c’è di più: secondo Baobab l’accusa di essere lo scafista gli sarebbe stata rivolta da un cittadinio nigeriano che su quel gommone… neanche c’era. Era semplicemente il fratello, sconvolto dal dolore, di una donna deceduta durante la traversata.
La verità è che Diouf era un passeggero come tutti gli altri, non guidava il gommone e aveva addirittura paura del mare. Il 20 novembre 2015, a Taranto, Diouf venne accusato di scafismo e portato subito in carcere. Ha scontato tanti anni in prigione per qualcosa che non ha fatto. Poteva toccare a chiunque su quel gommone, è toccato a lui.
Vi riporto il comunicato di Baobab, pregandovi di condividerlo sui vostri account social:
***DALLE PAROLE AI FATTI: BAOBAB EXERIENCE INTENTA UNA REVISIONE DEL PROCESSO PER FINTO SCAFISMO***
Taranto, 20 novembre 2015: nemmeno il tempo di accorgersi di essere ancora in vita, Diouf viene accusato di scafismo e portato in carcere.
Diouf è stato condannato a una pena definitiva di 8 anni di reclusione, giudicato colpevole di aver effettuato il trasporto di stranieri nel territorio italiano.
Ma Diouf quel gommone – sul quale hanno perso la vita per asfissia sette donne e un uomo – non l’ha mai neppure guidato.
Diouf HA PAURA DEL MARE.
Le accuse gli sono state rivolte da un uomo nigeriano che su quel gommone neanche c’era e che su quel gommone ha perso una sorella, dopo averne vista morire un’altra nell’attraversamento del deserto
Diouf parlava solo la lingua mandinga. Non sapeva leggere né scrivere. Eppure, agli atti del processo, non solo risulta che lui parlasse la lingua wolof ma al suo interrogatorio – su indicazione del Giudice – l’interprete traduce tutte le domande in francese, inglese e arabo, idiomi che Diouf ignorava completamente. Questa ENORME VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA DIFESA si è riprodotta durante tutto il processo.
“Se avessi parlato l’italiano che parlo adesso, non sarei finito in carcere”- queste le parole di un ragazzo a cui è stata rubata la vita, privato di un effettivo diritto alla difesa e travolto in una stagione buia della politica e della magistratura italiane, che, a braccetto, hanno scelto di mettere dietro le sbarre “DISGRAZIATI” e stringere le mani agli amici dei trafficanti.
Perché anche se Diouf avesse guidato quel gommone – per costrizione o per necessità – resta comunque un innocente, estraneo alla criminalità organizzata del traffico di esseri umani.
Lui, come le altre migliaia di persone arrestate con processi sommari come quello di Diouf. Mentre i Governi italiani continuano a fare affari con Governi d’oltremare fantoccio o autoritari, anche ora che è di dominio pubblico la complicità tra esponenti politici libici, milizie e trafficanti nella gestione degli sbarchi e dei lager della tortura.
“Disgraziati”, così si esprime la Corte d’Appello di Lecce nella motivazione della sentenza di condanna a carico di Diouf: “[…] gli imputati non sono gli organizzatori del viaggio, questi ultimi rimasti al sicuro sulle coste libiche, bensì altri disgraziati che hanno accettato tale compito per fuggire anch’essi dalla condizione in cui versavano in patria. Dunque scafisti improvvisati se è vero che essi venivano allenati sulla spiaggia alla conduzione dei gommoni poco prima della partenza.”
Disgraziati, dunque
Senza alcun legame con gli organizzatori, dunque
Eppure colpevoli per una legge folle – quella sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – che quei disgraziati li chiama trafficanti
Baobab Experience, con l’Avvocato Francesco Romeo, adesso punta – prima volta in Italia – ad annullare la sentenza di condanna attraverso un giudizio di revisione per dimostrare che Diouf era un passeggero come gli altri: i trafficanti, i loro complici e i loro amici vanno cercati altrove.
Tanti ragazzi come Diouf vengono accusati ingiustamente di essere degli scafisti e di aver provocato la morte dei loro compagni di sventura. Viceversa, ministri con l’immunità parlamentare, non vengono mai processati per i mancati soccorsi e/o per la gestione del sistema di deportazioni di massa dal mare nei lager libici.
Se volete approfondire seriamente l’argomento, andate a leggere lo studio Dal mare al carcere. Se invece volete velocamente sapere chi era lo scafista, leggete questo tutorial che ho scritto con tanto amore. Lo capirete da soli.
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