Sabato 2 ottobre la nave cargo italiana Asso Ventinove ha sbarcato a Lampedusa 65 persone salvate in mare. Non le ha volute consegnare ai libici. Ci ha proiettati per una giornata in un mondo giusto e legale: il Mondo che dovrebbe essere, il mondo che una parte di noi sta contribuendo a costruire.
Una nave che prima deportava in segreto le persone nei lager libici, oggi le salva. A cosa – a chi – dobbiamo questo straordinario cambiamento? Probabilmente a noi stessi.
I fatti di oggi
Sabato 2 ottobre 2021 una barca di legno con 65 persone in fuga dalla Libia telefona ad Alarm Phone: il motore ha smesso di funzionare. A bordo ci sono donne e 5 bambini. Si trovano vicino alle piattaforme petrolifere, in piena SAR libica, una zona da cui molto difficilmente si esce liberi.
In zone c’è Seabird, l’aereo della ONG Sea Watch, un occhio fondamentale in un tratto di mare pericolosissimo dove avvengono sistematiche violazioni dei diritti umani. Seabird trova e sorvola la barca. Si accorge che c’è una nave cargo lì vicino.
E’ la Asso Ventinove, della compagnia italiana Augusta Offshore. E’ la nave per cui la compagnia e il comandante Corrado Pagani sono stati citati in giudizio (assieme al Governo italiano Conte I) per il respingimento segreto del 2 luglio 2018.
A bordo di Seabird c’è un reporter dell’Associated Press. Dall’aereo vedono la Asso Ventinove avvicinarsi alla barca e prendere a bordo i naufraghi.
A quel punto, però, arriva anche una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica. Si teme che la nave italiana consegni le persone ai libici.
Anche gli attivisti di Alarm Phone sono preoccupati.
Seabird chiama via radio la plancia della Asso Ventinove. Il comandante della nave italiana risponde che i naufraghi sono in buona salute e che sta attendendo che il centro di soccorso e coordinamento di Roma assegni loro un punto di sbarco.
NOTA: Legalmente la Asso Ventinove è territorio italiano. I naufraghi hanno il diritto di chiedere asilo politico all’Italia. Trasbordarli su una motovedetta libica sarebbe illegale. Sarebbe un respingimento collettivo di stranieri alla frontiera.
La Asso Ventinove, poi, fa rotta per Lampedusa. Sbarca i naufraghi in un porto italiano. Il comandante e il centro di soccorso e coordinamento di Roma rispettano la legge.
I libici tornano indietro a bocca asciutta.
Il precedente – il caso Asso Ventinove
Ovvero “Perché gli eventi di sabato scorso ci fanno esultare e pensare che – dopotutto – un Mondo giusto in cui tutti rispettano le leggi si può ottenere – con un po’ di fatica”.
La nave, la Asso Ventinove, è la stessa che il 2 luglio 2018 eseguì (per ordine della Marina militare italiana) un gigantesco respingimento segreto di 276 persone. Persone che, salite a bordo di una nave italiane, avevano diritto a richiedere asilo. Uomini, donne e bambini furono deportati nei lager libici. Almeno 8 – tra cui Josi e Seid, che conoscevo – morirono di fame e malattia, abbandonati sul pavimento di veri e propri campi di concentramento orditi dal Governo di Accordo Nazionale Libico e finanziati da progetti del ministero dell’interno italiano.
3 anni, (almeno) 8 ragazzini morti nei lager libici, una causa civile, pagine e pagine scritte, campagne di sensibilizzazione, lotte, preghiere, incubi e sogni. Questo è il caso Asso Ventinove del 2 luglio 2018, il respingimento segreto che chi legge questo blog conosce bene.
“E’ un lavoro collettivo”
Queste 65 persone sono oggi vive e libere grazie a degli attivisti. Quelli di Alarm Phone, che gestiscono il telefono di emergenza, quelli di SeaWatch, che pattugliano e osservano anche dal cielo, gli avvocati dell’ASGI, che assistono legalmente i rifugiati, ma anche tutti gli altri, anche quelli che semplicemente raccontano una storia o condividono un post.
“E’ un lavoro collettivo”, ci diciamo spesso nelle telefonate reciproche di complimenti che facciamo e riceviamo. Non è modestia, è la realtà: è un lavoro collettivo. Più siamo a farlo, più riesce bene.
Osservare, conoscere, denunciare, raccontare, unirsi, condividere. Serve. Tutto serve. Con questo post intendo ringraziare ogni persona che in questi anni ha letto, condiviso e capito la storia del respingimento segreto e che ha creduto, assieme a me, che la storia si può cambiare.
Grazie! Il salvataggio di queste persone – oggi – è anche merito vostro.
(“E’ un lavoro collettivo” potete rispondere, se volete).
Queste due ultime settimane sono state durissime per i rifugiati in Libia. 4000 di loro sono stati arrestati nelle case e nelle strade di Tripoli. Altre migliaia di persone sono state catturate in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica. I lager libici sono pieni e le persone recluse saranno smistate ai lavori forzati, come impone la terribile legge libica sull’immigrazione clandestina.
Ci attacchiamo alle poche buone notizie non per poter dormire di notte, ma perché ci confermano che la nostra lotta serve. La vita di 65 persone (che si aggiunge alle oltre 800 degli anni passati) è qualcosa di gigantesco, non una semplice buona notizia.
Continuiamo così.
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