Prima della lettura di questo racconto (di fantascienza?) sappiate che:
Ogni riferimento a persone o ministri esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale 🙂
– Che c’è, Marco?
– Buongiorno Giovanni. Hai già fotografato la colazione?
– Stavo dormendo.
– Ecco, non la postare oggi. Ho di meglio. Ti ho mandato una fotina.
– Che roba è? Che schifo. Cazzo, oggi non faccio proprio colazione!
– L’hanno trovato un’ora fa, attaccato su un muro, a due passi dal Parlamento.
– Chi è stato?
– Non si sa ancora.
– Facciamo un tweet prima degli altri. Chiediamo una pena esemplare per il responsabile.
– Sì, sì, l’ho già scritto. Senza foto però, che fa schifo. O, meglio, mettiamo solo il cartello. Che dici?
– “Gatto italiano”. Stanno proprio fuori…
– Lo posto?
– Vai, vai subito. E’ perfetto. Faccio colazione e poi ti richiamo.
La fotografia completa, intanto, aveva già fatto più volte il giro del web. Un gatto assassinato e appeso su un muro del centro di Roma, non passa mai inosservato. Gli occhi spalancati, le zampe anteriori divaricate (a simulare una crocifissione?), il grosso buco proprio al centro della testolina bianca e il cartello “Gatto italiano”, composto con lettere di giornale e attaccato alla coda, tutto contribuiva a far penetrare l’immagine direttamente nel pantheon delle icone dell’anno.
Cinque ore dopo comparve la proprietaria del gatto, con un post su Facebook. Si chiamava Ersilia, 84 anni. Aveva riconosciuto Polly dal collarino blu con il cuore bianco. Era devastata. “Dopo 24 ore di ricerche per il quartiere ho scoperto la verità su Polly nel modo peggiore: da una foto su Instagram” scriveva “Anche io, come il nostro Ministro, invoco una rapida e giusta pena per il suo assassino”.
Giovanni lesse il post di Ersilia verso l’ora di pranzo e fece subito una telefonata al Questore per capire a che punto fossero le indagini. La gattina, a quanto pareva, era stata rapita il giorno prima in periferia, nel quartiere Torre Maura. Il buco in testa era stato senza dubbio provocato da una fucilata. Le telecamere nella zona di Montecitorio nella notte avevano catturato numerosi passaggi dell’aggressore, che però girava travestito da gatto Silvestro.
Era Giovedì Grasso, ieri sera.
Marco consigliò a Giovanni di procurarsi una copia delle riprese. Le guardarono assieme durante il loro apericena settimanale: Gatto Silvestro arrivava su una bicicletta scura, da uno zaino tirava fuori il corpo della gatta e lo appendeva al muro. Poi eseguiva una danza maori davanti alla telecamera.
“Si muove come un nigeriano” sentenziò Giovanni.
La mattina successiva, a Venezia, un gatto rosso penzolava dal ponte di Rialto. Ma non era certo morto per impiccagione: in mezzo agli occhi si apriva la voragine nera di un nuovo colpo di pistola. Legato alla coda, pendeva il cartello “Gatto Europeo”.
Ancora prima del risveglio di Giovanni, Marco aveva già completato il suo lavoro: preparato un post di solidarietà a nonna Ersilia e al proprietario del nuovo micio, contattato la Questura di Venezia e acquisito le immagini delle telecamere di sorveglianza del ponte di Rialto. Questa volta l’aggressore era travestito da Garfield.
“Quel che si dice un copycat” commentò Giovanni al risveglio.
Marco tirò fuori tutta la sua diplomazia per spiegare che la parola copycat non ha nulla a che fare con i gatti copioni e che la Polizia era abbastanza convinta che si trattasse non di un imitatore ma dello stesso soggetto criminale. In ogni caso, in quanto amico dei gatti, Giovanni avrebbe fatto bene ad incontrare personalmente nonna Ersilia per manifestarle la vicinanza dello Stato.
La visita venne programmata per il pomeriggio stesso, davanti casa della nonna, nota gattara di Torre Maura. La periferia, sfondo perfetto, era tutta riunita ad attendere l’apertura dello sportello dell’auto di Stato di Giovanni. I cellulari erano tutti pronti. Le dita erano già puntate sul tasto REC.
Un applauso scrociò fiero nel momento della discesa di Giovanni. Ma non era per lui. Era tutto per Ersilia, minuta ma ritta in cima alla folla. Giovanni le si avvicinò, la mano destra protesa in avanti per una stretta e la sinistra appresso a cingere le spalle dell’anziana signora.
Ma Ersilia si divincolò, schifata. E parlò.
“Ma bravo. Hai anche il coraggio di presentarti. Meglio, la gente deve sapere che sei il mandante dell’assassinio di Polly, che sei nemico dei gatti!”
Cortocircuito. Giovanni si girò verso Marco, che aveva allargato le braccia e rinfoderato lo smartphone. La folla no, riprendeva ancora, zoommando sull’imbarazzo del Ministro.
Era stata una questione di minuti, forse di secondi. Un video era stato postato poco prima sulla pagina Facebook di Ersilia.
Era il Manifesto di Scat Cat.
Travestito da Scat Cat, l’uccisore di gatti guardava la telecamera e il mondo, puntando avanti il suo dito di peluche:
“Lo Stato ci consente di acquistare pistole e fucili anche in edicola, ma l’omicidio è ancora un reato. Che senso ha? E’ come permettere di comprare una macchina e assieme vietare di guidarla. Quando ci hanno dato le armi da fuoco, eravamo felici, ma non avevamo inteso quanto sarebbe stato difficile trattenerci. Ora siamo frustrati. I ladri ormai disertano le nostre case, sanno che non abbiamo più nulla da rubare. E allora a chi spariamo? Ai gatti, per salvarli da questo sfacelo, dalla crisi che impera e non ci consente più di sfamarli”.
Scat Cat avvicinava il muso alla telecamera e concludeva:
“Una pistola in ogni casa. Miao”.
Era esattamente lo slogan con cui Giovanni aveva creato il suo ultimo decreto di pubblica sicurezza, quello che aveva liberalizzato la vendita di pistole anche in supermarket e tabaccherie. “Una pistola in ogni casa”. In origine era “Almeno una pistola in ogni casa”, ma l’efficiente Marco aveva consigliato di eliminare l’avverbio. E il decreto era passato.
C’era stato, è vero, chi con quella pistola aveva ammazzato moglie e figli, ma la cosa era passata praticamente inosservata, dimenticata dopo poche ore dall’accaduto.
Adesso, però, uno che ammazza i gatti con una pistola legale è un cazzo di problema.
La polizia brancolava nel buio. L’account che aveva postato il video non era rintracciabile. L’unica cosa sicura era la nazionalità del criminale: accento italiano, anzi italianissimo. Inoltre avevano scoperto che le lettere di giornale con cui aveva composto i due cartelli erano state ritagliate dalle pagine di Libero.
“Un italiano che legge Libero” aveva ripetuto Marco, del tutto sconsolato.
Il web era impazzito. La gente condivideva il video mentre con chiodi e martello murava le gattaiole.
Il vecchio Bepi, uno storico artigiano del legno di Chioggia, aveva riconosciuto il corpo del suo amato Lev e si era unito alle proteste romane di nonna Ersilia: “Una volta in ogni casa c’era un gatto, adesso c’è una pistola. La colpa è tutta del nemico dei gatti e del suo decreto”. Ora dopo ora, il ponte di Rialto si riempiva di fiori e cartelli inneggianti al disarmo.
Un cazzo di problema.
Quella sera Giovanni era atteso in un consorzio risicolo della Lomellina. Voleva annullare, ma Marco insistette per la sua partecipazione. Un appoggio all’agricoltura era vitale, in quel momento, per rimanere vicini a Madre Natura e confondere le idee. Ci voleva un bel selfie con un contadino rugoso da pubblicare su Twitter. Così prese l’aereo e andò.
Aveva sempre amato il momento dei selfie. Era nei suoi sogni ancor prima che inventassero i selfie. Gente in fila solo per poter fare una fotografia con lui, il suo sogno di bambino, realizzato.
Giovanni scrutò bene ogni volto di quella fila e capì subito quale avrebbe scelto per il suo tweet: contadino ottantenne, fronte bruciata dal sole, occhi azzurri incastonati in un dedalo di rughe.
Al suo turno, il vecchio gli si avvicinò docile e accettò il braccio di Giovanni sulle spalle con un bel sorriso. Ma, all’improvviso, punto il dito: “Tu, TU sei nemico dei gatti!”.
Un minuto dopo, il video era su Instagram. Ricoperto di cuoricini.
All’alba del sabato non apparvero gatti morti. Eppure Giovanni era inquieto. Trascorse la mattina sul divano, con Marco che lo aggiornava ogni ora per telefono. Uscì solo nel pomeriggio, con la scorta in borghese. I ragazzini correvano per le strade di Milano lanciando coriandoli e stelle filanti. C’era il sole e Giovanni tirò giù il cappuccio della felpa. Un nonno lo riconobbe. Selfie? Ma sicuro, ritrovò il sorriso Giovanni. I nonni con lo smartphone lo mettevano sempre di buonumore. Nonostante l’età lo sanno usare, cazzo se lo sanno usare. Anche troppo, questo qui. Malgrado l’artrite, con un dito riusciva a passare dalla modalità foto alla modalità video in poco meno di un secondo e con l’altro ad indicare Giovanni gridando: “Tu, nemico dei gatti!”.
La scorta si attivò per bloccarlo ed identificarlo, ma il vecchio aveva già postato tutto su Facebook e altri vecchi sopraggiunsero da dietro urlando “Nemico dei gatti, nemico dei gatti!”.
Arrivò una macchina a prelevare Giovanni. Marco lo raggiunse poco dopo. Giovanni straparlava: dovevano interrompere i selfie, parlare con la stampa, trovare un cavillo di legge per far diventare reato l’insulto “nemico dei gatti” e querelare per diffamazione tutti quei vecchi.
“Anche i proprietari dei gatti morti?” chiese Marco.
“Tutti” ringhiò Giovanni.
Presentarono le querele la domenica mattina e ne pubblicarono una su Facebook, oscurando solo il nome del querelato.
“Basterà?” chiese Giovanni.
“A fermarli, sì” sospirò Marco “a renderti simpatico, no”.
Ma aveva un’idea, Marco. Un po’ estrema, forse, ma necessaria, dato il difficile momento.
“Devi dichiarare che sei diventato vegetariano”.
“Vegetariano? Io? Ma no, non mi chiedere questo”.
“Solo dichiararlo” lo consolò Marco.
“Ma stasera c’è il Festival della Cassoeula!”
“Allora domani”.
Al Festival della Cassoeula, Giovanni, per la prima volta in tutta la sua carriera politica, fece cancellare il momento dei selfie. Al suo tavolo e ai tre tavoli a destra e a sinistra, c’era tutta gente del suo partito, fidata. E nessun vecchio. Marco girava scattando foto. Ne postò una molto simpatica in cui Giovanni ingurgitava cassoeula fumante.
Il video di Scat Cat arrivò nella notte. Su Youtube, postato da un utente anonimo e non rintracciabile.
In una cucina, Scat Cat infilava un grembiule bianco sopra la sua morbida pelliccia e impugnava un coltello da macellaio. Sul tavolo, un gatto persiano, morto. Sul collarino rosso c’era scritto il nome, Puzzola. La punta del coltello frugava nel foro di pistola in mezzo alla testa. Poi un colpo, secco, a incidere l’addome per tutta la sua lunghezza. Ributtante eviscerazione e, infine, la rimozione di una coscia fino all’anca. Sfilettatura di alcune parti di carne e taglio a spezzatino. Scat Cat guardava in macchina soddisfatto.
Poi un’interruzione.
Cambio di ambiente. L’immagine diventava in soggettiva, in campo solo due mani che sorreggevano una cartata di qualcosa. Sotto, piedi in movimento. Attorno, vociare e musica. Il cartoccio veniva trasportato dentro la porta di un tendone, al lato un cartello “Cucina. Vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori. Festival della Cassoeula”.
Il pacchetto veniva scartato. Lo spezzatino che c’era dentro veniva tuffato in una pentola sobbollente.
Ancora un taglio di montaggio.
Si vedeva un cameriere entrare svelto nella tenda-cucina e spegnere il gas sotto la pentola. Un altro cameriere arrivava ad impiattare e insieme portavano le portate nell’adiacente tendone ristorante, ai tavoli dei commensali. Con uno zoom, la telecamera inquadrava il tavolo al centro, dove Giovanni accoglieva allegro e affamato la sua porzione di cassoeula.
Giovanni vomitò.
Analizzando i resti nella pentola, i NAS decretarono che sì, quella era carne di gatto.
Giovanni vomitò di nuovo.
In rete, ma anche per strada, lo chiamavano “Mangiagatti”.
Marco non aveva più idee e Giovanni lo licenziò. Del resto era stato lui, anni prima, a rompergli le palle per diventare amico dei gatti asserendo che i gatti piacevano a tutti. Se l’era cercata.
Ma lo richiamò sei ore dopo, perché proprio non sapeva cosa fare.
Scat Cat era tornato.
Questa volta aveva rapito, ma non ancora ucciso, 12 gatti, tutti assieme.
C’era un sito, www.scatcat.org , con una webcam in tempo reale, fissa sui dodici felini che dormivano o mangiavano o giocavano. C’era un countdown che ora segnava circa 23 ore. La scadenza alla mezzanotte di martedì.
Ogni dieci minuti esatti, partiva un video registrato, sempre lo stesso, in cui Scat Cat puntava il dito verso la telecamera e si rivolgeva direttamente a Giovanni Mangiagatti:
“Tu sei il nemico numero uno dei gatti. Sai quanti rispettabili cittadini italiani quest’anno hanno sparato al gatto del vicino? 157. Il tutto grazie al tuo decreto. Ma ormai non puoi più nasconderti, devi assumerti le tue responsabilità. 12 gatti, strappati da 12 famiglie italiane, sono qui rinchiusi. Hai tempo fino a mezzanotte per rendere illegali tutte le armi da fuoco e ritirarle da tutte le case italiane. Altrimenti i mici morranno, e sarà colpa tua Mangiagatti”.
Il pollice di Scat Cat si alzava e si univa all’indice per mimare la canna di una pistola. Dissolvenza, e tornava la ripresa dei gatti in tempo reale.
Le forze dell’ordine brancolavano ancora nel buio. Per ben tre volte la Polizia Postale fece chiudere il sito, ma c’era sempre un altro server che lo reindirizzava in pochi secondi.
Tutta Italia era sintonizzata a guardare i gattini in tempo reale, sospirando e pregando per la loro sorte.
Il Parlamento non si pronunciava. In uno dei tanti decreti sicurezza emanati da Giovanni c’era la disposizione di non trattare mai con i terroristi e non cedere mai ad alcun tipo di ricatto. Diversi italiani rapiti in varie parti del mondo erano stati decapitati a causa della chiusura delle trattative. Ma stavolta in ballo c’erano gatti, non persone, e il Paese esigeva che venissero salvati.
Solo i sondaggisti avevano le idee chiare: gli italiani non avrebbero sopportato di assistere alla fucilazione di gattini innocenti e ne avrebbero attribuito la colpa al ministro.
Giovanni doveva salvare i gatti, se voleva salvare se stesso.
Così Giovanni Mangiagatti, che aveva visto sgretolarsi il suo sogno di bambino di farsi i selfie con tutti, che aveva dovuto cancellare l’intera galleria di foto di gattini dal suo profilo Facebook, che non poteva più mangiar nulla senza chiedersi cosa ci fosse davvero dentro, cedette.
Alle 23 e 45 del Martedì Grasso emanò un decreto che rendeva illegale qualsiasi arma da fuoco sul suolo italiano e che imponeva a tutti di restituirle presso appositi centri di rottamazione.
I 12 gatti furono liberati e tornarono alle loro famiglie.
Non si seppe più nulla di Scat Cat.
Un anatomopatologo fece l’autopsia sui corpi di Polly e Lev e consegnò una relazione. Sosteneva che i colpi d’arma da fuoco fossero stati inferti solo post mortem. Non aveva trovato le cause del decesso. Erano entrambi animali molto vecchi, se non fossero stati rapiti avrebbe ipotizzato cause naturali.
Il vecchio Bepi, nonna Ersilia e centinaia di altri anziani di tutta Italia organizzarono una gigantesca festa per celebrare il disarmo italiano. Parteciparono anche i parenti delle vittime umane delle armi da fuoco. Commossi, dedicarono a Polly, Lev e Puzzola una riproduzione della scultura Nonviolenza di Karl Fredrik Reutersward, la pistola con la canna annodata; la collocarono davanti al Parlamento italiano.
Marco cambiò nome e andò a lavorare per un altro ministro.
La carriera politica di Giovanni Mangiagatti finì. Per sempre.
Sarita
scritto nel febbraio 2019
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