Il fatto (di guidare una barca) non costituisce reato. Assolte 4 persone migranti per stato di necessità.

Venerdì 5 dicembre 2025 il tribunale penale di Napoli ha assolto quattro persone che erano finite in carcere un anno e mezzo fa con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Scafisti? No, solo quattro ragazzi in fuga dalla Libia, tre del Sudan e uno del Ciad, che sono saliti su una barca e hanno tenuto in mano per ore oggetti come un timone, una bussola oppure anche niente. Per questo sono stati chiusi in un carcere per 17 lunghi mesi.

Le motivazioni della sentenza non sono ancora uscite ma dal dispositivo – assoluzione perché il fatto non costituisce reato – sembra più che probabile che il giudice abbia riconosciuto lo “stato di necessità”, un principio giuridico per cui un reato compiuto per necessità non è punibile.

Le avvocate della difesa Tatiana Montella e Martina Stefanile hanno lavorato benissimo anche per far emergere le incongruenze e gli errori investigativi che hanno portato all’arresto dei quattro ragazzi, ma la loro difesa si basava soprattutto sul senso più alto e universale della questione: chi si trova sulle imbarcazioni in fuga dalla Libia, anche se le guida, non è mai uno scafista ma è una persona che fugge dalla Libia, una vittima. Il giudice ha dato loro ragione e perfino il PM è stato d’accordo e ha fatto cadere le accuse.

I quattro ragazzi sono stati scarcerati e uno splendido presidio di attiviste li ha festeggiati. Eccoli finalmente liberi.

Chi sale su queste barche non è mai uno scafista – le forze dell’ordine italiane hanno bisogno di corsi di formazione

Perdonate la franchezza: solo uno stupido potrebbe pensare che uno scafista – che incassa mediamente 100 mila euro ogni barca partita –mollerebbe il suo business e la sua vita di lusso per salire su una barca fatiscente e sovraffollata. Eppure – due anni fa lo scrivevo su Il Manifesto – in Italia al momento dello sbarco la polizia arresta decine di persone denutrite e senza scarpe accusandole di essere “scafisti”. Prova a loro carico una: tenevano il timone oppure aiutavano gli altri durante la navigazione.

Questa è un’immagine della barca su cui viaggiavano i 4 ragazzi processati (credits: SOS Mediterranee) . Ce lo vedete uno scafista che incassa centomila euro a viaggio salire su una di queste? Io no.

C’è evidentemente qualcosa che non va nell’addestramento delle nostre forze dell’ordine, che con questi arresti stanno creando un danno, di immagine ma anche erariale, al nostro paese. 17 mesi in carcere per un fatto che non costituisce reato vuol dire che lo Stato ha speso soldi inutilmente per detenzioni e processi e che tanti altri ne spenderà (speriamo) per risarcire le vittime di questa lunga ingiusta detenzione. Ricordiamo che la custodia cautelare è ingiusta (art. 314 cpp, 1°comma) quando un imputato all’esito del processo viene riconosciuto innocente e che il risarcimento ammonta a minimo 235 euro per ogni giorno di custodia cautelare in carcere.

A mio parere bisognerebbe formare le forze dell’ordine presenti agli sbarchi, fare corsi d’aggiornamento presso le procure siciliane, pugliesi e calabresi. Mi offro come consulente, se serve, per spiegare cosa è uno scafista e come riconoscerlo. Ho già scritto un tutorial molto chiaro, con tanto di disegnini e poesiole mnemoniche.

I fatti

Il 17 luglio 2024 la nave ONG Ocean Viking in zona SAR maltese soccorse una barca in vetroresina con 38 persone e poi una seconda barca con 17 persone. Tutte e 55 salve, nessuna vittima.

Al momento dello sbarco, a Napoli, la squadra mobile arrestò quattro di queste persone e le portò in carcere a Poggioreale.

Su Fanpage il giornalista Giuseppe Cozzolino – esperto di cronaca, “videogamer e appassionato di musica, di cani e di storia” – scrisse: Non è la prima volta che gli scafisti si “confondono” assieme ai migranti regolari: ma quasi sempre vengono scoperti. Credo che manderò il mio tutorial anche a Cozzolino, così la prossima volta eviterà questi puerili errori.

Chi guida non è uno scafista, è un “capitano coraggioso”

Abbiamo visto e amato “Io capitano” di Matteo Garrone, dove il protagonista era costretto a guidare un barcone per salvare la vita al fratello. La storia narrata nel film risale a più di un decennio fa. La sostanza non è cambiata ma il sistema degli imbarchi dalla Libia è peggiorato, le barche ora sono più piccole e instabili, spesso chi guida paga il viaggio come tutti gli altri e talvolta viene scelto al momento della partenza. Ci sono casi in cui la persona scelta per timonare non lo sa fare e durante il viaggio viene sostituita da chi sa farlo. Le persone si trovano letteralmente sulla stessa barca per due o più giorni, tutte collaborano per assicurare al gruppo la sopravvivenza. Emergono personalità forti e generose come quella del minorenne Cris che ha provato a riavviare il motore e ha proposto di lasciare alle donne la poca acqua potabile rimasta.

Nella mia opinione ed esperienza bisognerebbe dare una medaglia a chi guida una barca in fuga dalla Libia o dalla Tunisia, non certo arrestarlo.

In ogni caso, se (e scrivo “se”) guidare una barca in fuga dalla Libia comporta il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tale reato non è punibile perché le persone che scelgono o accettano o si ritrovano a condurre un’imbarcazione in fuga dalla Libia lo fanno perché vi sono costrette dallo stato di necessità.

Lo stato di necessità – Dispositivo dell’art. 54 Codice Penale

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

Questa disposizione è diversa dalla legittima difesa, dove c’è una condotta lesiva direttamente verso un aggressore. Qui l’aggressore è rimasto in Libia e la sua vittima è stata costretta a compiere un illecito per sfuggire a lui e per far fuggire altre persone.

Le persone migranti che si trovano in Libia e in Tunisia sono in pericolo di vita, soprattutto da quando i soldati governativi libici (compresi quelli della milizia RADA di Almasri) hanno iniziato a fare raid casa per casa e i soldati governativi tunisini a deportare e uccidere nel deserto donne e bambine migranti. La fuga via mare spesso è l’unica che hanno.

Prendere il mare è pericolosissimo, io lo sconsiglio sempre vivamente, ma le persone migranti mi rispondono che Libia e Tunisia sono più pericolose. Hanno ragione.

Cosa fare per aiutare le persone migranti

Una lista di azioni che io ho fatto ma che tutte e tutti possono fare:

  • Chiedere di aumentare i voli di evacuazione. Ci sono ma sono troppo pochi.
  • Aiutare legalmente le persone illegalmente deportate dal mare ai lager libici. Le prime due che abbiamo aiutato hanno potuto lasciare la Libia su un aereo di linea.
  • Aiutare la difesa delle tante, troppe persone arrestate dopo essere arrivate in Italia su una barca. Bisogna raccontare bene chi sono e da cosa fuggono e riconoscerle come vittime del sistema atroce di torture e schiavitù che il nostro paese sta purtroppo finanziando e supportando.
  • Aiutare ad arrestare i veri trafficanti di esseri umani, ad esempio Almasri.

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